C’erano una volta i Settlefish… oggi ci sono gli A Classic Education. Sempre lo stesso leader Jonathan Clancy, che fonda nel 2006 una band italo-canadese (o meglio, bolognese), scelta per aprire i concerti di Arcade Fire, Modest Mouse, Lightspeed Champion e che con ciò sembra avere ingranato il meccanismo per farsi conoscere. All’estero. Il loro ultimo album “Call it Blazing” è stato accolto dalla critica, ed è costituito in effetti da una buona raccolta di brani, evidentemente moderni ma con il giusto tocco di nostalgia, che non guasta negli anni zero dei suoni campionati. Solo che in Italia non piacciono.
Si parla degli A Classic Education come il ‘prodotto’ da esportare all’estero, dispiace ammettere che di italiano sembrino non avere nulla. L’album citato è prodotto dall’etichetta La Tempesta, a cui va il merito di avere tirato fuori qualcosa di buono dallo Stivale (Massimo Volume, Le Luci della Centrale Elettrica, Zen Circus, Tre Allegri Ragazzi Morti…), ma rispetto al quale non sembrano godere dello stesso furor di popolo: la verità è che i Classic Education non hanno nulla della tradizione cantautorale italiana che gli altri non riescono a nascondere, e loro stessi del resto, paragonati ai vicini di etichetta, non sembrano essere legati a doppio filo alle dinamiche italiane ‘stracantate’.
C’è poco del nostro Paese anche in quelle atmosfere evocative e sognanti (vedi alla voce Surfer Blood) da spiaggia deserta di mari del nord, da grigia città americana e spazi vuoti. Insomma un po’ se la sono cercata, e studiata. Da bravi nostalgici hanno registrato il disco in una vecchia casa a Brooklin, su bobina analogica e registratore a 16 tracce, dal loro punto di vista l’ambiente migliore per suonare e farlo bene. Ecco, questa non è propriamente la stessa atmosfera che sono riusciti a creare al Calamita di Cavriago venerdì sera, neanche se rinnovato dalle immagini affisse da Collettivo Fx e Reve Attack su una parete a tema zoo, tra personaggi famosi e animali un po’ strambi. Gli A Classic Education davano a tratti l’impressione di sentirsi come ragazzini che si sfogano in sala prove, e non come la backing band degli Arcade Fire, ed il risultato è stato un pot-pourri di suoni scarsamente controllati e mescolati, che non hanno lasciato passare il messaggio di Call it Blazing, per chi non lo avesse già ascoltato.