A Canossa nulla di nuovo. Ma Travaglio punge

Pippo Civati promuove una non stop sulla legalità con ospiti d’eccezione. Chiude il giornalista del Fatto che attacca Bersani e D’Alema. Tra il pubblico anche il grande accusatore di Penati

“La politica va a Canossa”. Titolo denso di significato non solo geografico, ma anche storico e simbolico per l’appuntamento organizzato dai rottamatori del Pd, corrente Civati. Una estenuante non stop organizzata dall’associazione Prossima Italia dedicata alla legalità che ha visto sfilare una pletora di relatori sul palco del teatro di Ciano d’Enza: politici come Pippo Civati e Debora Serracchiani, docenti del calibro di Stefano Rodotà, esponenti della società civile, giornalisti, fino alla chiusura di Marco Travaglio, ospite desueto per un convegno targato Pd. Obiettivo ambizioso: una politica a corruzione zero.  (Le foto della giornata)

Tra il pubblico anche Piero Di Caterina, il grande accusatore di Filippo Penati, l’ex presidente Pd della provincia di Milano.

Titolo denso di significato, perché andare a Canossa significa fare penitenza, chiedere scusa, chinare la testa, ammettere di avere sbagliato proprio come fece (più per opportunismo che per intima convinzione) l’imperatore Enrico IV nel gelido inverno del 1007, quando rimase per tre giorni e tre notti scalzo e vestito di un saio davanti all’ingresso del castello per ricevere il perdono papale con l’intercessione della contessa Matilde. Ma più che la penitenza, della giornata forse si ricorderanno gli schiaffi di Travaglio a Bersani e D’Alema.

A dare un’ impronta alla giornata ci prova subito Pippo Civati, esponente in ascesa dei cosiddetti rottamatori e organizzatore dell’evento: “Alla ricerca di credibilità, dobbiamo chiedere scusa perché la politica non ha funzionato. Nessuna giustificazione, nessun imbarazzo”.

La politica che fa atto di contrizione ha il fascino indiscreto della novità, quindi a riportare il dibattito sulle convergenze parallele ci pensa Salvatore Tesoriero, giovane avvocato coordinatore dell’incontro, che annuncia: “Intendiamo contribuire ad alimentare un dibattito pubblico che proietti la lotta alla corruzione al primo punto dell’agenda polica nel nostro Paese”. E aggiunge: “Il Pd con tutti i suoi limiti è l’unico partito politico che ha le qualità morali per fare questa battaglia”.

La lunga giornata canossana prosegue con la garbata lezione di Stefano Rodotà;  da segnalare per dovere di cronaca l’intervento Debora Serracchiani; interessanti le parole di giornalisti come Giovanni Tizian, sotto scorta perché minacciato dalla ‘ndrangheta, e il decano Elio Veltri, uno che quando si parla di corruzione in Italia sa quello che dice; degna di nota anche la testimonianza di Raphael Rossi, tecnico in materia di rifiuti che con le mazzette ha avuto a che fare sul serio quando a Tornio ha fatto scoppiare lo scandalo delle tangenti all’Amiat nel silenzio della giunta Chiamparino. Per il resto dialoghi sopra i massimi sistemi e poco più, qualche sbadiglio, complice l’effetto stalla di una sala gremita, fino all’atteso ingresso di Marco Travaglio. Inconfessabili timori nei cuori degli organizzatori, applausi in sala.

Il giornalista del Fatto Quotidiano, va detto, desta gli assopiti: dalla trasparenza dei finanziamenti pubblici ai partiti  (“vi pare normale che i partiti abbiano meno doveri di una bocciofila per quel che riguarda la trasparenza dei bilanci? Ci sono partiti morti che continuano a vivere per prendere dei soldi”) alla democrazia interna (“come fate ad avere la speranza di andare al vertice del partito se oggi, al vertice, ci sta chi tiene la cassa?). Poi se la prende con il vertice, lancia stoccate a Bersani (dopo la lite su Coop rosse e Tav ad Annozero) e D’Alema (a proposito dei finanziamenti alla sua Fondazione). Infine detta il suo decalogo anticorruzione e alla fine la platea si spella le mani.

Il punto di arrivo dell’iniziativa sono cinque proposte in materia di trasparenza e ricambio. Da qui Civati prova a rilanciare la sua corsa nel partito e a recuperare terreno in casa sull’ex amico Renzi. Insomma, più che a stare sulla porta scalzo e al freddo come Enrico, Pippo punta ad entrare nel castello.

G.M.

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