Era il 1993 quando a Milano comparvero i primi manifesti giganti nei quali un infante si muoveva felice su una coperta: Fozza Italia, era il vagito del neonato a caratteri cubitali. Si trattava di un geniale test inventato da Marcello Dell’Utri e dai suoi creativi di Publitalia 80, la società di advertising del grande gruppo di media e quotidiani costruito in pochi anni da Silvio Berlusconi. Un test per misurare la curiosità e l’interesse degli italiani nei confronti di qualcosa di nuovo che li facesse uscire dal senso di collasso del sistema politico provocato dalle indagini di Mani Pulite.
La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi prese forma in quei mesi. Forza Italia! Associazione per il buon governo viene costituita il 29 giugno 1993 da alcuni noti professionisti, alcuni inseriti nelle aziende controllate da Fininvest. Alle elezioni del 27-28 marzo 1994 ottenne un sorprendente 21% dei voti, mai ottenuto da un movimento nato a tavolino in così poco tempo. L’imprenditore amico di Bettino Craxi, “media mogul” come lo definiscono gli anglo-sassoni, che era considerato da Agnelli e gli altri una sorta di parvenu nel salotto buono dell’economia e della finanza italiana, aveva sancito il cambiamento del sistema politico italiano a quattro anni dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine della Guerra fredda.
Non c’è forse modo migliore per ricordare un uomo che ha segnato 25 anni di storia italiana a poche ore dalla sua morte annunciata oggi 12 giugno, all’età di 86 anni. Metterne in luce cioè la capacità di percezione dei tempi che ormai erano cambiati e quella di interpretarli, di cogliere la sensibilità e le attese degli elettori, quando dall’altra parte gli eredi del Pci e in generale la sinistra democratica erano rimasti legati a vecchie formule appena riverniciate, a stereotipi obsoleti, a dottrine politiche astratte ormai evanescenti.
Il modo nel quale Berlusconi, il più longevo presidente del Consiglio della storia d’Italia, abbia poi gestito il potere politico, è invece tema che divide fieramente sostenitori e avversari e sarà oggetto dell’analisi e del giudizio da parte degli storici quando questi anni saranno lontani.
Noi riteniamo che l’impostazione di imprenditore, capo di un partito azienda, nonché di un gruppo monopolista, e la psicologia da miliardario convinto di potere agire al di sopra della legge e della morale comune, fossero del tutto incompatibili con un ruolo di statista che guarda all’interesse comune e non a quello personale. Berlusconi ha fatto fatica a entrare nelle vesti di capo del governo e di fatto non ci è mai riuscito, impigliandosi in battaglie personali contro la magistratura e utilizzando il suo potere per riparare ai danni di una sessualità esasperata. Il suo lodato “moderatismo” non è stato il frutto di un organico pensiero politico e di una strategia per realizzarlo, ma un modo per restare a galla di fronte alle estenuanti mediazioni e al confronto continuo con tutte le componenti della società, al quale era chiamato.
L’assenza di etica pubblica, e dunque l’estrema vulnerabilità della sua figura, gli ha impedito di portare avanti le riforme e i principi che si attendono da una forza politica conservatrice, come è accaduto nelle altre democrazie occidentali. Il paradosso italiano è stato che le riforme per adeguare il sistema economico e politico alle spinte della globalizzazione sono state alla fine richieste alle forze del centrosinistra, spesso a scapito del proprio patrimonio di idee e di valori.
In parole povere Berlusconi non aveva la statura per accompagnare questo Paese alle sfide della modernità ripiegato com’era su una “italianità” superficiale, mirata solo a fargli guadagnare consenso. La sua morte conclude sicuramente un’epoca, ma è inevitabile che il periodo del suo ruolo pubblico al vertice verrà fatto coincidere con un altrettanto lungo declino reso ancora più difficile dalle grandi crisi che stiamo attraversando in questi primi due decenni del secolo.