Per un appassionato di romanzi gialli come me, il detto “tre indizi fanno una prova” di Agatha Christie è un “must”. Nel caso dell’argomento in questione gli indizi sono: Silicon Valley Bank (SVB), Credit Suisse (CS) e Deutsche Bank. Parliamo, quindi, degli scossoni finanziari provocati dai fallimenti di SVB e CS che alle borse del vecchio continente hanno bruciato rispettivamente 291 miliardi e 355 miliardi. A questo dobbiamo aggiungere lo “scherzetto” combinato da una “mini” scommessa sui Credit Default Swap (CdS) che ha fatto crollare le azioni del colosso tedesco, bruciando altri 30 miliardi dalle borse europee. Totale 676 miliardi volatilizzati in una settimana.
E’ davvero soltanto un altro caso di scuola che si ripete o l’inizio di un’altra tempesta perfetta? Per capirlo bisogna fare un po’ di storia, che ci porti a comprendere cosa è il settore della finanza oggi. Per cominciare, è opportuno fare alcune considerazioni sulla politica monetaria. A tale proposito ho letto recentemente un articolo (Magical Thinking Monetary Thinking at the Fed Killed SVB: di Randal Wray e Stephanie Kelton) molto interessante scritto da due economisti che propugnano l’approccio MMT (Modern Money Theory) per la gestione, appunto, della politica monetaria. Nel loro scritto fanno la storia a partire da quel che è accaduto in America, dagli inizi degli anni ’50. Senza andare troppo in là nel tempo partirei però col mettere una piccola bandierina sulla fine degli anni ’70, che i due economisti hanno identificato come l’inizio della svolta.
Per far fronte all’inflazione alla fine degli anni ’70, la Federal Reserve (FeD) decise di adottare la visione di Milton Friedman: il monetarismo. La politica fiscale si sarebbe 1 focalizzata sulla riduzione del deficit, mentre la banca centrale si sarebbe occupata di regolare l’offerta di moneta. I monetaristi sostenevano che il trade-off della curva di Phillips – aumento della disoccupazione è correlato a un decremento dei prezzi – fosse illusorio. C’era il NAIRU (non-accelerating inflation rate of unemployment) o “tasso naturale di disoccupazione” attraverso l’adozione del quale la banca centrale avrebbe potuto abbattere l’inflazione senza dolore riducendo il tasso di crescita dell’offerta di moneta.
Da quel momento in poi si è passati da una crisi finanziaria all’altra con conseguenti recessioni tutte legate all’aumento dei tassi di interesse. Il grande esperimento monetarista – lasciare andare i tassi di interesse e prendere di mira l’offerta di moneta per cercare di abbattere l’inflazione – ha cambiato per sempre il settore bancario. Le banche hanno iniziato a trattare i mutuatari come “avventure di una notte” e i prestiti come “rifiuti tossici”, qualcosa da accumulare e scaricare rapidamente sui fondi pensione e altri investitori. Non c’è nemmeno bisogno di regolamenti, perché i titoli sono valutati da professionisti e agenzie di rating.
La regolamentazione e la vigilanza bancaria si sono prese una lunga vacanza ed è arrivata l’era delle cartolarizzazioni.La cartolarizzazione riflette un cambiamento nel peso delle capacità di finanziamento del mercato e delle banche: le capacità di finanziamento del mercato sono aumentate rispetto alle capacità di finanziamento delle banche e degli intermediari finanziari depositari. È in parte una risposta ritardata al monetarismo. La lotta all’inflazione, limitando la crescita monetaria, ha aperto opportunità per tecniche di finanziamento non bancario. Sebbene la cartolarizzazione moderna sia iniziata con i risparmi, ora si è espansa ben oltre i risparmi e i prestiti ipotecari.
Per i politici, tuttavia, il fiasco dell’allora governatore del FeD Paul Volcker, ha messo in luce un problema. Le banche centrali non possono controllare l’offerta di moneta (nonostante la carneficina, la Fed non ha mai raggiunto i suoi obiettivi monetari) e la crescita dell’offerta di moneta non è correlata all’inflazione (il denaro è cresciuto rapidamente quando l’inflazione ha finalmente iniziato a scendere). Cosa, allora, si doveva fare?
Entra in campo un pensiero ancora più magico. Il pensiero di Alan Greenspan che prese le redini della FeD nel 1987. Greenspan abbracciò l’idea che l’inflazione fosse guidata dall’inflazione attesa, non da fenomeni economici osservabili. In buona sostanza si prendono di mira le aspettative di inflazione, che possono essere manipolate per controllare l’inflazione effettiva! Ma c’era bisogno di un qualche segnale per comunicare le intenzioni della Fed. Il segnale è stato l’annuncio da parte della Fed del tasso che avrebbe applicato sui fondi federali (che ci crediate o no, l’obiettivo è stato tenuto top secret fino al 1994). Quindi la Fed userebbe il tasso sui fondi federali per indicare le sue intenzioni.
Certo, sappiamo che la spesa non è molto sensibile ai tassi di interesse, ma le aspettative lo sono, e questo è ciò che conta. Un aumento dei tassi preverrà magicamente l’inflazione creando l’aspettativa che non ci sarà inflazione. Credere che la Fed impedirà l’inflazione impedirà l’inflazione! Dopo il fiasco di Greenspan del 1987 (il più grande crollo del mercato azionario mai visto quando i tassi sono stati rapidamente portati da circa il 6% a quasi il 7,5%), la Fed si rese conto che, probabilmente, una lunga serie di piccoli aumenti dei tassi, fosse il modo migliore per comunicare le intenzioni. I mercati potevano adattarsi gradualmente al mutare dei tassi di interesse.
Così la Fed ha continuato a spingere i tassi verso l’alto fino a quando non ha avuto la prima recessione di Bush (1990/91), seguita dalla prima ripresa senza lavoro di sempre. Il boom delle azioni immobiliari e tecnologiche finalmente ripristinò una crescita ragionevole a metà degli anni ’90 durante il secondo mandato di Clinton. Greenspan si preoccupò per l’esuberanza irrazionale, ma la Fed, alla fine, mostrò moderazione, aspettando fino al luglio 1999 per riavviare i rialzi dei tassi.In poco tempo scoppiò la bolla delle dot.com e l’economia entrò in recessione (2001). Ne seguì un’altra ripresa.
Continuando uno schema oramai familiare, emersero nuove bolle finanziarie, questa volta per materie prime, abitazioni e azioni, aiutando l’economia a prendere slancio.Nel 2004, la Fed iniziò una serie di rialzi dei tassi che alla fine culminarono nella crisi finanziaria globale. Washington Mutual fallì nel settembre 2008, e poi il più grande fallimento bancario fino a quel momento, Lehman Brothers. (Cominci a credere anche tu al famoso detto di Agatha Christie?)
Gli aumenti dei tassi hanno attraversato il sistema finanziario, spingendo i mutui sott’acqua e precipitando l’economia nella recessione economica più prolungata dai tempi della Grande Depressione. Ci sono voluti circa sette anni per recuperare i posti di lavoro persi durante la Grande Recessione. È stata la più brutta “ripresa” di tutti i tempi.La disparità di reddito è aumentata vertiginosamente. E per buona parte di un decennio, la Federal Reserve ha combattuto contro un tasso di inflazione considerato troppo basso. Il mondo intero ha assistito al tentativo della Fed (e di altre banche centrali) di aumentare le aspettative di inflazione per portare l’inflazione effettiva fino all’obiettivo del 2%.
Ma né la politica del tasso di interesse zero, né il Quantitative Easing 4 (QE) da miliardi di dollari, sono riusciti a riportare l’inflazione all’obiettivo della Fed.La politica della Fed è stata battuta dalle aspettative che erano confluite nella nuova realtà. Non c’era alcuna pressione inflazionistica e qualunque cosa facesse la Fed, non riusciva a coinvolgere i mercati con il suo pensiero magico.Gradualmente, i mercati si sono adattati a tassi di interesse costantemente bassi.
In questo nuovo ambiente, la leva aveva senso. Detenere attività a lungo termine aveva di nuovo senso. I mercati finanziari erano in bolla. La gente si era arricchita. I regolamenti erano stati allentati. L’amministrazione Trump aveva esentato le banche di medie dimensioni come SVB da regole più severe. I supervisori bancari diciamo che si sono presi una bella vacanza.E poi è arrivata una pandemia globale.Dopo un periodo di vera e propria deflazione nel 2020, l’inflazione ha avuto un’impennata. Ma le aspettative sono rimaste ostinatamente basse. Chiaramente, le aspettative non stavano guidando l’inflazione, anche se l’inflazione complessiva è salita ben al di sopra del 2%. I mercati hanno accettato l’opinione del presidente Powell secondo cui si trattava di un fastidio transitorio.
Un anno fa, ci si aspettava ancora che i tassi di interesse fossero nella fascia del 2% per il 2023 con l’inflazione nella fascia del 2-3%. Detenere buoni del tesoro a lunga scadenza e titoli garantiti da ipoteca sembrava ancora sicuro. Perché sprecare denaro per coprire il rischio di tasso di interesse? La Fed non si è nemmeno preoccupata di sottoporre a stress test i portafogli bancari per perdite dovute all’aumento dei tassi di interesse.
L‘inflazione non è scomparsa. I mercati finanziari stavano segnalando che le aspettative di inflazione rimanevano, come si suol dire, “ben ancorate”, ma l’inflazione effettiva non rispondeva allo stesso modo. Alla fine, la Fed ha deciso che era giunto il momento di tornare al vecchio “ritornello”: aumentare rapidamente i tassi per dimostrare che è seriamente intenzionata a ridurre l’inflazione. Tuttavia, i mercati finanziari erano fortemente indebitati e i portafogli erano costruiti su un patto percepito secondo cui la Fed non avrebbe distrutto il patrimonio netto con un inasprimento eccessivo.
Ma ciò ha sollevato un problema: le banche che si sono caricate su titoli di Stato sicuri e titoli garantiti da ipoteca hanno dovuto spostarli nella categoria HTM (Hold To Maturity) o riconoscere perdite dovute a posizioni in gran parte non coperte in attività a più lungo termine che potrebbero non essere scaricate. I venditori allo scoperto sono stati in grado di individuare le banche con vulnerabilità e quindi avviare voci che hanno portato a corse sui depositi.
La scorsa settimana, abbiamo avuto il secondo (SVB) e il terzo (Signature) maggiori fallimenti bancari fino a questo punto. La banca First Republic viene salvata da un consorzio di 11 banche. Il Credit Suisse è un caso disperato. Nuovi record di fallimenti bancari potrebbero essere in attesa dietro le quinte.Un’azione rapida e decisiva da parte della Fed e della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) può sempre evitare la calamità, ma non ci sono riusciti nel caso della SVB.
Per prevenire crisi sistemiche, l’assicurazione FDIC deve essere estesa a tutti i depositi bancari indipendentemente dalle dimensioni. Si dovrebbe passare rapidamente a un sistema di banche assicurate dalla FDIC, non di depositanti assicurati dalla FDIC. Sfortunatamente, potremmo scoprire che l’assicurazione dovrà essere fornita al di fuori del sistema bancario commerciale, per passività simili a depositi delle banche ombra (come è stato fatto per i fondi comuni di investimento del mercato monetario nella Global Financial Crisis (GFC)) del 2008.
Il quadro potrebbe peggiorare. Speriamo però che, questa volta, si mantenga la promessa che gli azionisti e il management non saranno salvati. Speriamo che siano recuperati i bonus e si indaghi sui supervisori lassisti della Fed. Speriamo che alcuni prepensionamenti e dimissioni “eccellenti” siano più che soltanto auspicati. Kelton e Wray fanno un’analisi molto puntuale e lucida, dalla quale possiamo partire per porci alcuni quesiti.
1. Gli eventi che abbiamo vissuto in questa settimana, sono figli di pratiche che si sono radicate negli anni? Nessuno vuole parlare di complotti né di Élite al comando che decidono le sorti del mondo. Osservando, però, la realtà saremmo portati a dire che invece è proprio così. Parlerei, piuttosto, di mere prassi consolidate che si sono radicate e che, a mio avviso, sarà molto difficile estirpare. Qualche numero ci può aiutare a capire meglio.
Il valore nozionale (Valore dell’attività finanziaria a cui si riferisce un contratto derivato. Ad esempio, per uno swap sui tassi di interesse, il valore nozionale è il capitale su cui sono calcolati gli interessi scambiati dalle controparti) dei derivati in circolazione nel mondo, ammonta all’incirca in 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale, amplificando in modo allarmante il rischio sistemico di prodotti che sono, per loro natura interconnessi. Un rischio che in massima parte non è controllato. Basti pensare a cosa è successo con i mutui subprime nella GFC con la conseguente recessione globale.
In molti casi, il settore finanziario ha dimostrato di essere incentrato sulla massimizzazione degli utili a breve termine piuttosto che sulla creazione di valore a lungo termine per l’economia reale, trasformando così il suo ruolo da supporto e fluidificante dell’economia reale a vero e proprio competitor della stessa. Ciò ha portato al cosiddetto fenomeno della finanziarizzazione dell’economia, nella quale una quantità sempre maggiore di risorse e capitali viene investita nel settore finanziario piuttosto che nell’economia reale, con le conseguenti creazioni di bolle finanziarie, nelle quali il valore degli asset finanziari diventa sproporzionato rispetto al loro valore effettivo.
In buona sostanza non si è imparato nulla dal fallimento di Lehman. Ci ha insegnato che aggiungere complessità ai mercati, lasciando loro opacità, avrebbe creato una miscela esplosiva, ma non è successo praticamente nulla. Come dicevo, tutto ciò è ormai diventato prassi consolidata dalla quale è diventato difficilissimo uscirne. L’esempio principe è costituito dai CDS. Sono strumenti derivati assimilabili a polizze di assicurazione sulla vita dell’impresa, con una “piccola” differenza: è possibile comprarli senza possedere i titoli dell’impresa stessa. Così è successo che sulla scorta degli accadimenti su Credit Suisse, Hedge Fund americani hanno costruito posizioni ribassiste su Deutsche Bank (DB) vendendo azioni senza possederle, poi hanno cominciato a acquistare CDS della stessa DB il cui prezzo si è impennato.
Risultato: hanno guadagnato sull’aumento del prezzo dei CDS e poi anche dal crollo del titolo DB. Ancora una volta, il disastro Lehman non ci ha insegnato niente. Fare in modo di lasciare a qualcuno la possibilità di operare sui CDS senza possedere azioni o obbligazioni, vuol dire lasciare spazio a speculazioni che possono diventare disastrose. E le autorità cosa fanno? Come avvenuto nel 2008, nulla.
2. Libero mercato e deregulation costituiscono una miscela esplosiva? Nel 2008 qualcuno aveva adombrato la reintroduzione della vecchia legge Glass-Steagal Act del 1933. Nata col nome di Banking Act, normava la netta separazione tra le attività bancarie commerciali da quelle delle banche di investimento al fine di prevenire conflitti di interesse e garantire stabilità finanziaria. La revoca di tale legge nel 1999, ha permesso alla banche di combinare ambedue le attività: commerciali e di investimento aprendo così la strada a una maggiore finanziarizzazione dell’economia e alla creazione di grandi conglomerati di istituti in grado di garantire una vastissima gamma di attività e prodotti finanziari.
È inutile nasconderlo, ma la revoca del Glass-Steagall Act è stata una delle cause della crisi finanziaria del 2008, e molti economisti e attivisti ne hanno sostenuto il ripristino per prevenire future crisi finanziarie e garantire la stabilità. Tuttavia, il ripristino della Glass-Steagall Act potrebbe avere effetti diversi a seconda del contesto e delle circostanze economiche. Alcuni esperti sostengono che una separazione più netta tra le banche commerciali e quelle d’investimento potrebbe essere positiva per ridurre la speculazione e migliorare la stabilità finanziaria, mentre altri ritengono che una tale separazione potrebbe essere dannosa per l’innovazione finanziaria e la capacità delle banche di fornire servizi finanziari a basso costo.
A tale riguardo bisognerebbe fare il cosiddetto “check and balance” tra le due visioni e, personalmente, penso che la bilancia penderebbe a favore della prima linea di pensiero. In ogni caso una stretta alla deregulation selvaggia rimane una questione imprescindibile per garantire la stabilità finanziaria e la sostenibilità economica a lungo termine. La regolamentazione è quindi un fatto importante per garantire la stabilità finanziaria a lungo termine. Tuttavia, proprio perchè abbiamo più volte detto che la gestione attuale della finanza può rientrare nella categoria delle prassi consolidate, appare chiaro che intervenire sulla regolamentazione diventa una condizione, sì necessaria, ma purtroppo non sufficiente.
Perchè questo? Perchè occorre un cambio culturale a 360°, incentrato su valori come la responsabilità, la trasparenza e l’etica. In tal modo, si può promuovere un settore finanziario più stabile e sostenibile a lungo termine, che sostenga l’economia reale anziché metterla a rischio. Ma perchè non lo si fa? Ci sono diversi motivi per cui non si riesce a realizzare un cambiamento culturale adeguato nel settore finanziario. In primo luogo, ci sono forti interessi economici e politici in gioco, e alcuni attori del settore potrebbero resistere al cambiamento. Se partiamo dal presupposto che resistere a qualsiasi cambiamento è fisiologico per l’essere umano, in questo caso diventa quasi una montagna da scalare, dati gli enormi interessi economici e di potere che hanno creato le interconnessioni del mondo globalizzato.
In secondo luogo, si aprirebbe un difficile e infinito dibattito per cercare di raggiungere un consenso su quali politiche e pratiche siano necessarie per un settore finanziario più stabile e sostenibile. Quale deve essere il ruolo del governo? Quale è il livello di regolamentazione necessario? Quali devono essere le modalità di gestione dei rischi? Ma tutti gli attori in gioco saranno disposti a rivedere il loro potere e i loro interessi per il bene comune? La risposta a quest’ultima domanda penso possa essere riassunta in una sola parola: consapevolezza.
Piano piano comincia a farsi strada una crescente consapevolezza tra gli economisti e gli studenti universitari sulla necessità di riformare l’insegnamento dell’economia, per renderlo più attento alle questioni di equità e sostenibilità. Molti economisti hanno criticato l’eccessivo accento sulla matematica e sulla teoria in alcuni programmi di studi universitari, a scapito dell’applicazione pratica e della consapevolezza delle questioni sociali e ambientali. Tuttavia, ci sono anche università e dipartimenti che stanno adottando un approccio più interdisciplinare e orientato al contesto, che integra l’economia con altre discipline come la politica, la sociologia e l’ecologia. Sarà un percorso, a mio avviso, lungo, ma è la strada migliore per iniziare un vero processo di cambiamento culturale.
3. Cosa possiamo aspettarci dal futuro? È difficile dare delle risposte univoche a questo quesito, tuttavia è possibile immaginare due possibili scenari prendendo spunto dalle conclusioni del bellissimo articolo dei due economisti americani Kelton e Wray:
1. Possiamo continuare ad abbracciare la teoria del libero mercato e quindi: Ridurre i sostegni del governo. Continuare a fare affidamento sulla politica monetaria per la gestione della domanda aggregata, il che vuol dire aumentare i tassi per combattere l’inflazione, per poi abbassarli per alleviare i danni della recessione. Consentire i fallimenti bancari che, come abbiamo visto, gli aumenti dei tassi inevitabilmente generano. Imparare a convivere con periodiche crisi finanziarie che puntualmente si trasformano in crisi economiche.
oppure 2. Stabilizzare i tassi di interesse smettendo di usarli per la gestione della domanda e concentrarsi invece sulla stabilità finanziaria. Regolamentare e supervisionare le istituzioni finanziarie. Mantenere i backstop come l’assicurazione sui depositi e il prestatore di ultima istanza quando necessario per impedire la diffusione delle crisi. Ripristinare un ruolo adeguato per la politica fiscale nella gestione della domanda aggregata. A voi le riflessioni sul merito delle due ipotesi.