Diceva David Sassoli che l’Unione europea è uno spazio di “lavori in corso”, in fieri. Anche le analisi e le valutazioni vanno continuamente aggiornate.
Negli ultimi tre anni due grandi emergenze hanno contribuito a cambiare la percezione dell’Unione europea e i rapporti con gli stati membri rendendola più solidale, dal volto più umano, lontana da quell’Europa un po’ arcigna di anni precedenti, quelli dell’austerity, del tenere gli occhi puntati soprattutto sui conti pubblici. Le sfide che l’hanno messa alla prova sono l’emergenza Covid 19 e poi, esattamente un anno fa, l’aggressione russa all’Ucraina, due fatti che avrebbero potuto disfarla e che invece sono state gestite con saggezza dalla Commissione. Come giustamente si chiede Giuseppe Benedetto: l’Europa si farà nelle crisi?[1] Nella gestione del Covid la Commissione europea, oltre alla gestione diretta dei vaccini, ha varato rilevanti piani di investimenti come la Next Generation Eu e il Pnrr, dai quali l’Italia sta traendo grandi vantaggi. Insieme con gli atti di altre istituzioni, come la BCE, quelle ed altre misure hanno consentito ai paesi europei di far fronte alla crisi. Come dice Giuliano Amato, si è sviluppato un “impulso cooperativo”, gli stati hanno sentito una migliore difesa dei propri interessi.
L’altro fatto è ancora più drammatico perché si tratta dell’aggressione di un paese sovrano, condotta in violazione del diritto internazionale e in maniera decisamente criminale, da parte di un paese autocratico come la Russia, ormai simile a una tirannide, essendo scomparsa anche quella minima parte di libertà e partecipazione formale che si richiede a una democrazia. In questo caso la risposta europea è stata unitaria sulla condanna, anche se non sempre perfettamente compatta sulle sanzioni al paese aggressore, come dimostra la posizione contraria dell’Ungheria anche sull’ultimo pacchetto.
In questa drammatica circostanza si è poi rivelata la nostra vulnerabilità nell’eccessiva dipendenza dalla Russia in termini di forniture energetiche, anche se la ricerca di fornitori alternativi sta dando i suoi frutti.
Sull’Ucraina abbiamo vissuto nella settimana scorsa giornate dense di eventi importanti, dalle visite a Kiev di Biden e di Meloni al discorso di Putin di fronte alle Camere riunite, alla proposta di un piano di pace (detto position paper) da parte della Cina, all’assemblea dell’ONU per il voto sul ritiro immediato della Russia. Non posso commentare i singoli fatti, ma semplicemente fare qualche osservazione generale.
La pace duratura è la principale ragion d’essere dell’Europa unita, che corrisponde all’aspirazione di creare un’area di benessere, di diritti sociali e civili. È evidente che l’invasione dell’Ucraina, portando la guerra alle nostre porte, in violazione del principio dell’intangibilità delle frontiere stabilito dopo il crollo dell’Urss, comporta uno sconvolgimento degli assetti allora stabiliti. Una violazione che potrebbe aprire altri fronti nel caso la Russia vincesse la guerra. Ecco perché l’Europa è fortemente interessata a sostenere la resistenza ucraina: per solidarietà, ma anche per salvaguardare la propria integrità e sovranità.
Altra osservazione. Sappiamo bene cosa si nasconde dietro quell’aggressione brutale e feroce: la volontà di espansione imperiale, l’aspirazione a ricostituire la Grande Russia. Ne abbiamo già dei segnali. C’è la volontà di riportare indietro l’orologio, alla storica contrapposizione-inimicizia fra Oriente e Occidente. Esiste un Noi e un Loro, gli esterni al nostro mondo. Putin vuole dimostrare la superiorità del modello autocratico russo e la fragilità – decadenza del modello democratico europeo. È una guerra alla civiltà occidentale, cioè alla cultura dei diritti e delle libertà. Questo vuol dire voler distruggere l’Europa nel suo assetto politico e nei principi fondativi.
Quale deve essere la risposta? Certamente la compattezza e la cooperazione solidale fra gli stati membri, ma – io credo – soprattutto un rafforzamento significativo delle nostre democrazie interne. Non sono insignificanti in questo panorama i punti neri rappresentati dalle cosiddette democrazie illiberali, dall’Ungheria alla Polonia e altri paesi, ma non dimentichiamoci che nella classifica del democracy index l’Italia compare nella fascia delle “democrazie imperfette”. È importante tenere fede ai valori e ai principi fondamentali della Carta di Nizza (che ha acquistato valore giuridico vincolante nel 2009 col Trattato di Lisbona) da parte di tutti i paesi membri con l’impegno a dare attuazione a quegli articoli che sono alla base di libertà e diritti fondamentali.
È significativo che nel suo discorso all’Assemblea nazionale Putin si sia scagliato contro l’Occidente che non rispetta i “valori tradizionali della famiglia” e provoca la corruzione dei costumi. Dare attuazione a quei principi significa realizzare democrazie sempre più sostanziali: non basta la celebrazione delle elezioni, condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre attuare politiche che accrescano il benessere, il welfare, realizzino politiche contro la povertà e l’esclusione, per il lavoro, che diminuiscano le diseguaglianze, che realizzino le pari opportunità per tutti e fra uomini e donne.
In passato l’Europa ha fatto molto per l’empowerment femminile portandoci a sostenere che “l’Europa alle donne conviene”. Bisognerebbe riprendere quella spinta e renderne virtuosa la realizzazione in tutti i Paesi europei. E anche esprimere una più concreta ed efficace solidarietà con le donne di quei Paesi, come Iran o Afghanistan, nei quali i diritti fondamentali sono conculcati e le donne manifestano, a costo della vita, per conquistarli.
Sul piano più strettamente politico ed elettorale, vediamo che – per paradosso – nonostante gli enormi aiuti che l’Europa ha messo a disposizione dei paesi membri, alle elezioni nazionali non crescono le forze politiche europeiste, ma quelle sovraniste e conservatrici. Dunque, aumenta il rischio concreto che i Paesi che si riconoscono nell’alleanza di Visegrad (caratterizzati per essere democrazie illiberali a trazione sovranista) trovino alleati anche in altre aree europee, compresa l’Italia. Non è un mistero che anche l’attuale maggioranza italiana lavori a ribaltare l’assetto delle alleanze europee e – nell’alleanza coi popolari – miri a sostituire ai partiti progressisti i conservatori. È un rischio reale e drammatico. Significherebbe riprendersi indietro porzioni di sovranità cedute, anche con molti vantaggi. È vero che, almeno per ora, la destra italiana non parla di Italexit, ma ci sono diversi modi, meno plateali e più sofisticati, per riorientare le politiche sovranazionali verso i sovranismi interni e mettere a rischio seriamente il progetto europeo. I sovranismi scavano e scorrono in maniera carsica. Non esistono Paesi immuni, come dimostra il caso della Svezia. Ecco perché è importante rafforzare le nostre democrazie: riportare alla partecipazione al voto, fare in modo che la politica riconquisti autorevolezza riconoscendo il ruolo delle istituzioni democratiche.
Detto questo, non posso non riportare il dubbio che ha espresso di recente Jürgen Habermas (Longform la Repubblica, febbraio19). Il ragionamento di Habermas si inserisce soprattutto nel dibattito in corso in Germania sull’opportunità di inviare i carri armati Leopard all’Ucraina, ma pone anche un problema generale che non possiamo sottovalutare. È opinione comune, che il filosofo condivide, che la guerra durerà a lungo mietendo altre numerose vittime e portando distruzioni ancora più massicce e, quindi, che “ci ponga alla fine di fronte a una scelta obbligata: o entrare attivamente in guerra oppure, per non scatenare la prima guerra mondiale tra potenze dotate di armi nucleari, lasciare l’Ucraina al suo destino”. Personalmente, temo che di fronte a questo bivio potremmo trovarci a un certo punto, nostro malgrado. Per questo l’Europa e l’Occidente dovrebbero – contemporaneamente agli aiuti – contribuire ad allestire tavoli possibili per piani di una pace giusta e sostenibile.
[1] Nell’interessante volume dei “Quaderni del Circolo Rosselli”, 4/2022, dedicato a Il futuro dell’Europa.