Mafia, tema che sembrava essere dimenticato dalla politica, ma che sta tornando al dibattito pubblico anche sull’onda di recenti fatti di cronaca, che in Toscana hanno visto, con la chiusura della maxi indagine Keu incentrata sullo smaltimento illegittimo dei rifiuti delle industrie conciarie di Santa Croce sull’Arno, tornare alla ribalta temi come corruzione, infiltrazioni mafiose, ecc. Abbiamo raggiunto il Capo Centro della Direzione Investigativa Antimafia della Toscana, Francesco Nannucci, per ricostruire, partendo dalla realtà toscana, un affresco su come si muovono le cosche mafiose in presenza di una globalizzazione che vede aumentare la presenza di mafie straniere sul territorio ma anche l’apertura di immense praterie di opportunità sia per quanto riguarda mercati e paesi ormai non solo europei, sia per quanto riguarda l’inquietante mondo della finanziarizzazione e digitalizzazione dell’economia. ,
Mafie straniere sul territorio italiano, un tema che via via riprende quota, magari sull’onda di qualche grave fatto di cronaca. Come si inseriscono sul territorio in particolare toscano, e quali sono le presenze più importanti?
“Sul territorio italiano, le mafie straniere sono ormai presenti da tempo. Per quanto riguarda la Toscana, le presenze più significative riguardano la mafia cinese e quella nigeriana. Due mafie molto diverse, con settori operativi diversi, ma anche con tratti comuni ai fenomeni mafiosi italiani degli anni ’50. Per fare un esempio, quando eseguimmo le misure cautelari a gennaio 2018 nell’ambito di una vasta inchiesta che si svolgeva nel territorio di Prato, il capo dell’organizzazione era arrivato da Roma a Prato. La sera prima dell’arresto registrammo una sorta di “processione” di persone ricche, di Prato, cinesi, che si presentavano per fare l’inchino e tornavano via. Una modalità tipica delle mafie italiane, non più attuale, simile a quella rivissuta, purtroppo, quando venne arrestato un boss della ‘ndrangheta a San Luca, e nell’attesa di portarlo via, uscito fuori, gli abitanti del paese andarono a fargli il baciamano. Si tratta di episodi molto poco positivi per lo Stato, che tuttavia sono parametri di misurazione per comprendere come, anche sul nostro territorio, le mafie straniere abbiano un’organizzazione che rispecchia quella delle mafie, per così dire, indigene. Il secondo è un episodio poco positivo per lo Stato, il primo è una mera condotta “mafiosa”, di rispetto verso il boss… Tracce di questa somiglianza dei rapporti fra affiliati nelle organizzazioni criminose italiane e straniere emergono anche dagli atti processuali, con intercettazioni in cui si sentono capi delle cosche cinesi pronunciare parole come “chi rema contro di me muore, chi rema nella stessa direzione vive”. Una simmetria perfetta con le nostre cosche”.
Quali sono gli ambiti di spartizione degli affari di queste due organizzazioni straniere, triadi e mafia nigeriana?
“La mafia cinese ha una forte presa su Prato, con il controllo di alcuni settori, oltre a quelli tipici delle organizzazioni di mafia (dal traffico di droga allo sfruttamento della prostituzione alle estorsioni, ndr), anche quelli caratteristici del territorio, fino al trasporto di merce su strada. La mafia nigeriana è presente nel momento in cui riesce a controllare il traffico della droga medio-alto. Ricordo, per le mafie nigeriane, la presenza di due o tre organizzazioni principali, in lotta anche fra di loro con ripercussioni che a volte si scaricano sul territorio, con accoltellamenti o guerre. In generale, il rapporto di queste mafie col territorio, molto spesso si risolve in una presenza sfuggente, caratteristica tipica di tutte le mafie: meno appaiono su certi territori (tendenza molto evidente in Toscana) meglio è, nel senso che è più funzionale ai loro interessi dare il meno possibile sentore della loro presenza. La logica in generale cambia nel rapporto con altri territori dove le mafie sono indigene, quindi Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, dove c’è necessità di farsi sentire ed essere forte sui territori. E’ vero che, mentre le mafie italiane in certe aree del Paese hanno una proiezione diversa, come in Toscana in cui devono fare investimenti, e dunque hanno tutto l’interesse a rendersi invisibili, le mafie straniere hanno necessità via via di affermare la loro presenza. Quello che è facilmente desumibile, riguardo ad esempio alla mafia cinese, è che l’affermazione anche esterna di essere forti a Prato comporta l’affermazione di essere forti in tutta Europa. I vertici mafiosi di Prato infatti, secondo le indagini compiute nel 2018, riuscivano a dirimere controversie anche riguardo a gruppi criminali cinesi presenti in Germania o in Francia. Comandare a Prato, la comunità cinese più grande d’Italia, la seconda in Europa, voleva dire essere potenti in tutto il continente europeo. Nell’ambito di questo discorso, teniamo conto che la nostra indagine partì da un episodio gravissimo, un duplice omicidio attuato in un pomeriggio in cui vennero letteralmente fatti a pezzi due ragazzi giovanissimi, 19 e vent’anni. Si trattò dell’ultimo episodio eclatante, dopodiché la mafia cinese si andò a trincerare, trovò una soluzione alle guerre intestine e dal quel momento evitò di commettere atti così spettacolari. Era passato il concetto che, per essere presente sul territorio, aveva necessità di essere invisibile. In territori di “conquista” come la Toscana, in cui si svolgono azioni di riciclaggio e dunque investimenti, ciò che conta è la presenza economica, mentre le azioni di violenza evidenti sono un danno, in quanto consegnano alle forze dell’ordine l’occasione per svolgere indagini. Dunque, si può affermare che le mafie straniere sul nostro territorio si comportano con gli stessi criteri di “invisibilità” delle mafie nostrane, con una piccola diversificazione perché hanno comunque la necessità di dimostrare il loro controllo del proprio territorio. Un minimo almeno deve farsi sentire, fino a quando non consolida la presa”.
La mafia nigeriana, nell’immaginario collettivo, è molto legata anche a riti, che al di là dei moduli di affiliazione e punizione propri di tutte le mafie, pescano in un rituale magico che si riferisce anche ai riti voodoo. Si tratta di un’immagine indotta oppure in qualche modo corrisponde a qualcosa di reale?
“E’ necessario distinguere fra le simbologie riferibili agli appartenenti al gruppo di mafia e quella che invece ricade sulle vittime. Le ragazze sfruttate che sottostanno ai riti voodoo presentano un aspetto particolare, diverso rispetto alla simbologia propria del gruppo di potere. Quando trovavamo piccoli oggetti frutto del rito voodoo e li aprivamo, le ragazze impazzivano dalla paura, rivelando che quell’aspetto “magico” era condizionante e schiavizzante al massimo.
Chi le controlla, ha una simbologia e un’organizzazione diversa, che va dall’iniziazione allo stare all’interno del gruppo, portare simboli particolari come il cappellino di colori diversi, il che significa la presenza di una struttura interna esplicitata nei simboli. Del resto, anche la nostra mafia ha i suoi simboli che vanno da santuari a santini particolari a quel particolare momento che è l’iniziazione. Direi che quest’ultimo è un tratto comune a tutte le mafie. Una similitudine afferrata anche dal legislatore: l’art. 416 bis, che nasce per dare una veste giuridica all’associazione mafiosa, è stata estesa in un secondo momento anche alle mafie straniere, allargamento basato sugli stessi presupposti ”.
Qual è l’atteggiamento delle mafie nostrane nei confronti delle infiltrazioni sul territorio nazionale delle mafie straniere?
“Si tratta di un aspetto molto importante, che stiamo approfondendo. Si tratta di capire se le mafie straniere sul territorio italiano abbiano una propria autonomia o abbiano raggiunto per qualsiasi motivo un accordo con le mafie italiane. La definizione “per qualsiasi motivo” abbraccia la semplice convivenza oppure una cointeressenza di aspetti e finalità condivise. Bisogna capire se le mafie cinesi o nigeriane, per tornare agli esempi precedenti, abbiano una propria autonomia oppure ci sia stata una ripartizione o per materie o per territorio con le mafie italiane in una sorta di collaborazione. La mafia cinese ha una capacità economica enorme così come le mafie italiane. Cinesi e nigeriani offrono delle capacità di riciclaggio che fuoriescono dalle possibilità di controllo delle nostre istituzioni e dei nostri strumenti di intercettazione ordinari. C’è stato un caso in cui una di queste organizzazioni criminali metteva i soldi in semplici pacchi di cartone che spediva in tutto il mondo. Mettere 500mila euro in tagli da 500 in una piccola scatola ordinaria di cartone non presenta nessuna difficoltà. Una modalità che serviva per se stessa, ma che può essere utilizzata anche per conto di altri gruppi mafiosi. Non dimentichiamo che le nostre mafie nazionali hanno un’espansione enorme all’estero, dove non sempre la legislazione è recepita. In certi Paesi riescono a espandersi con le proprie forze, in altri hanno necessariamente bisogno di altre mafie. L’invasione da parte della Cina dell’Africa, che è stato oggetto di un libro di due autori spagnoli cui ho collaborato, ha implicato l’invasione della mafia cinese. In Paesi in cui il livello di corruzione è altissimo è più facile corrompere, portare soldi e investire. Esistono perciò queste dinamiche e le mafie italiane sono preparatissime e bravissime a sfruttare questi aspetti. La globalizzazione è un processo anche loro”.
L’Italia è nota per avere una legislazione più avanzata rispetto anche a quella europea nei riguardi del contrasto alla mafia. Come si comportano gli altri Paesi?
“Non tutti capiscono il problema e non tutti hanno una legislazione in grado di fronteggiarlo. Mi riferisco, ad esempio, alla legislazione sull’attività preventiva di contrasto, quali ad esempio le interdittive antimafia o le misure di prevenzione patrimoniali. La Germania ad esempio si è accorta del problema mafia quando a Duisburg la ‘ndrangheta ha ucciso sette persone, il 15 agosto 2007. Fino ad allora, non era un problema. Il vero punto critico è che quando lo diventa, è già tardi.”.
Fra i vari settori su cui si esplicita l’interesse della mafie, è balzato alla ribalta, anche grazie all’inchiesta sul mercato di Fondi, la primaria importanza del settore trasporti, in particolare quello su strada. Si tratta di una nuova modalità che segnala la tendenza pervasiva delle mafie sul tessuto economico nazionale?
“L’oggetto principale dell’indagine del 2018 a Prato, denominata “China Truck”, partiva proprio dalla gestione da parte di Zhang Naizong (denominato dalla stampa il “boss dei boss”, ndr) di alcune società di trasporto merci su strada tramite tir. Aveva 3-4 società e la guerra era scoppiata perché lui voleva il monopolio, a Prato, poi in Italia e poi in Europa, del trasporto delle merci su strada. Pensiamo solo al fatto che Prato è una città con 4.500-5mila aziende cinesi; controllare il 90, o l’80 per cento delle merci in tutta Europa è un business enorme. E si può trasportare di tutto. Il meccanismo è semplice: tornando alle scatole di cartone zeppe di soldi, si poteva caricarne un certo numero per un milione di euro insieme a un carico di 800-900 pacchi da consegnare in tutta Europa. Pur incappando in un controllo, è impossibile aprire tutti i pacchi. Si opera un controllo generico, al limite con i cani anti-droga. Inoltre, in Italia la maggior parte delle merci si muovono su strada. Senza generalizzare, dal momento che il settore è costituito da operatori che svolgono un lavoro onesto e pesantissimo, si può dire che è un segmento su cui esiste attenzione da parte della mafia. Prima di tutto perché la mafia cerca sempre di organizzarsi a 360°, e quindi è ovvio che è suo interesse organizzarsi i propri spostamenti e avere corrieri di cui potersi fidare. In ogni caso, si può parlare di un interesse criminale per tutti i settori dei trasporti, come rivelano indagini anche recenti ad esempio sul porto di Livorno. Il grosso dei traffici continentali viaggia con container su navi, anche se il livello dei controlli nei porti si è alzato tantissimo”.
Affrontiamo un tema basilare quando si parla di mafia, riportato alla ribalta dalla chiusura delle indagini dell’inchiesta “Keu”, il tema della corruzione e dei suoi danni. Quanto davvero modifica le dinamiche economiche?
“Mi piace citare, a proposito della corruzione, una frase delll’ex capo della polizia Prefetto Gabrielli, che trovo particolarmente puntuale: “La corruzione, oltre a tutte le questioni negative che si porta dietro come l’inquinamento dell’economia, inocula un virus tremendo che mina la credibilità e la forza delle istituzioni”. E’ ovvio che la mafia, se tiene un territorio, deve provare anche ad avere un rapporto politico. E il rapporto politico o passa attraverso un’intimidazione molto pesante o passa tramite la corruzione. Aggiungo anche un altro aspetto, l’evasione fiscale, che è strumentale a formare quel denaro contante funzionale alla corruzione. A maggior ragione, non entro nelle scelte politiche, ragioniamo sull’elevazione del tetto al contante, dal momento che più contante circola più facile è dare un aspetto più consistente alla corruzione. La corruzione è uno degli strumenti in mano alla criminalità organizzata anche non mafiosa, per avere un ritorno e la possibilità di alterare l’economia. Il riciclaggio del denaro, la corruzione non fanno ricco un territorio. Lo fanno apparentemente, perché comunque la facilità economica conseguente viene facilmente distrutta dall’intervento di questi soldi dati in maniera indebita, dal momento che l’organizzazione criminale ha poi bisogno del suo ritorno e lo va a cercare, a concretizzare per poi portarselo a casa. E’ anche questo un dato importante, perché bisogna pensare che il riciclaggio, la corruzione, l’evasione fiscale che l’organizzazione criminale porta sul territorio, si concretizza in investimenti importanti. Investimenti che alterano il mercato, e che comportano la necessità di essere recuperati, senza riversarsi mai su quel territorio”.
Possiamo dunque dire che corruzione, evasione fiscale e riciclaggio producono una dinamica economica finta?
“Facciamo l’esempio di un ristorante regolare, che paga le spese normali dell’attività, dall’acquisto delle materie prime alla gestione, deve gestire mutui, stipendi, ecc., dando vita a un’economia che si proietta nel territorio al pari di altri ristoranti, innescando una dinamica di concorrenza leale. Quando arriva un ristoratore che ricicla denaro, non ha i costi dell’attività normale, andando perciò ad alterare il mercato della ristorazione in quella fetta di territorio, anche se apparentemente, potendo praticare prezzi diversi, si vede un aumento della clientela. Alla fine però il conto lo si deve pagare: se un’organizzazione criminale investe su un territorio lo fa per procurarsi altri soldi. Non è un’associazione benefica”.
Con un occhio al futuro dell’economia e alla sua progressiva finanziarizzazione, è emerso in svariate indagini il profilo di una mafia molto formata su strumenti economici innovativi e raffinati, fra cui le varie forme di digitalizzazione della ricchezza. Una mafia 4.0?
“Partiamo dal presupposto che la nostra legislazione si presta molto bene a delle dinamiche economiche particolari, ma la mafia ha fatto un passo ulteriore e superiore: si è formata, non va più a cercare il colletto bianco, O NON SOLO; per fare i propri interessi si forma i propri esperti, li fa studiare, magari nelle migliori università europee e statunitensi, spesso sono figli o comunque legati alla cerchia familiare. Questo significa che la mafia si forma i propri strumenti, perché danno le garanzie di appartenere alla familia, danno garanzie di obiettivi finalizzati ad esempio al riciclaggio del denaro o ad altre finalità economiche. E’ ovvio che l’innovazione digitale, parliamo dei Bit Coin, degli Nft, offrono dei canali per l’impiego del denaro, sconfinati. L’evasione fiscale consente di avere quella liquidità di denaro che fluendo attraverso nuovi strumenti consentono ingerenze forti nell’economia dei Paesi. Non dico che l’economia di un Paese venga alterata, ma sicuramente si ritrova con una concorrenza molto forte per le nuove modalità con cui la mafia riesce a spostare grandi capitali. Per spostare capitali immensi dall’Italia al sud Africa o nel resto del mondo, bastano due minuti di attività online. La tendenza è dunque quella di formare i propri esperti, magari all’interno della famiglia. Se si cerca l’aiuto di un terzo bisogna affidarsi e fidarsi, chi è formato al proprio interno dà garanzie maggiori e se è formato bene ti può indicare non solo i buchi legislativi, ma anche come superare l’intera legislazione per far investimenti o per spostare il denaro o per andare a colonizzare economicamente un certo ambiente”.
A proposito di queste dinamiche, come sono cambiate le indagini?
“Premettendo che la mafia.0, ovvero quella che utilizza strumenti che consideriamo classici, esiste ancora, andare ad indagare sulla mafia 4.0 muta ovviamente le modalità d’indagine. Si deve cercare di capire e intervenire con gli stessi strumenti da lei utilizzati. Per quanto riguarda la DIA, il fatto di essere interforze, favorisce la possibilità di indagini più complete, che abbracciano anche i settori economici. Dove si vedono i risultati di queste attività? Nelle misure di prevenzione patrimoniale che si vanno ad eseguire, ovvero quando si va a colpire proventi, sui territori, degli investimenti della mafia. Il mafioso mette in preventivo di farsi 50 anni di carcere, persino l’ergastolo, magari sperando che decada; ma se gli si tolgono soldi, investimenti, in una parola il potere economico, diventa intollerabilmente debole. E questo lo colpisce più di qualsiasi pena temporale ”.