Tre inquilini succeduti al numero 10 di Downing street nell’arco di un’estate è la chiara rappresentazione dell’ingovernabilità londinese. Rishi Sunak è salito al governo dopo aver congiurato contro il suo mentore Boris Johnson, ma ha fallito nelle primarie, per poi essere ripescato a mettere le toppe ai disastri lasciati dalla breve apparizione sulla scena di Liz Truss.
L’operazione di palazzo compiuta da Sunak ai danni di Johnson non gli è stata ancora perdonata dalla base dei Tories e pesa, come un macigno, sul basso grado di fiducia degli elettori conservatori. L’essere diventato premier con il difficile compito di risollevare le sorti del reame sostituendo, per manifesta incompetenza, la sua predecessore (e collega di partito) gli ha invece valso un sottile margine di credibilità. Una boccata di ossigeno che comunque pare di breve durata e sicura scadenza.
La destra britannica, logorata e lacerata da oltre un decennio di governo ininterrotto, è ai minimi storici dei consensi e in balia di faide interne senza fine. In un contesto dove a far paura non è la Russia ma la recessione. Gli scioperi nei trasporti, le agitazione tra il personale infermieristico e nelle Università sono all’ordine del giorno, e continueranno. Il tasso di inflazione è approdato a quota 11,1%, dato più alto degli ultimi 40 anni. Durante lo scorso trimestre i volumi di vendita sono calati del 2,4%, con un leggero aumento registrato in ottobre. Quando i consumi di benzina e diesel hanno ripreso a salire, insieme al comparto delle vendite online (+ 1,8%).
Seppur tornate a muoversi le vendite restano ben al di sotto dei livelli pre-pandemia, lasciando in una zona d’ombra migliaia di lavoratori che rischiano il posto. E per il 2023 si stima un calo del prodotto interno lordo dell’1,4%. Peggio di così solo il Cile, hanno titolato alcuni tabloid inglesi.
A questo punto la speranza di Sunak è riposta in “Babbo Natale”. La spinta commerciale delle prossime festività è considerata un’ancora, anche se molti negozi potrebbero presentarsi al pubblico con scaffali vuoti. Il cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt ha recentemente lanciato un piano economico improntato all’austerità, introducendo politiche di tagli e tasse per 55 miliardi di sterline. Manovra, in tempo di guerra, che non va certo per il sottile: corporation tax al 25% ed imposta agli extra profitti dell’energia al 35%.
La mini finanziaria non piace ai laburisti (ampiamente al primo posto nei sondaggi), che parlano di “rapina” ai danni dei sudditi. Le casse non sono però l’unico problema, c’è la questione migranti e quella doganale. Mentre, in Scozia ed Irlanda del Nord c’è voglia di indipendentismo, e si guarda alla repubblica più che alla monarchia di Carlo III. La Brexit per quanto dolorosa ed infelice non è riuscita, per ora, a cancellare la copiosa legislazione lasciata in eredità dall’Ue (oltre 4mila norme). Diritti fondamentali, che spaziano dalla salute all’ambiente e che molti vorrebbero tenere inalterati. Tema su cui la maggioranza di governo potrebbe ritrovarsi spaccata, e il fragile leader nudo dinanzia alla crisi.
Alfredo De Girolamo Enrico Catassi