È stata una piacevole sorpresa apprendere che quest’anno il Nobel per la Fisica è andato agli scienziati Aspect, Clauser e Zeilinger per gli studi sulla correlazione quantistica. Trovo romantico sapere che due particelle continuino a conservare un legame indissolubile anche se dovessero venire a trovarsi agli antipodi dell’universo. Se una delle due particelle cambia stato, quell’altra si allinea simultaneamente. Siamo abituati a convivere con i limiti della velocità della luce. Einstein ci insegna che niente può andare più veloce della luce eppure queste due anime gemelle in qualche modo riescono a parlarsi istantaneamente come se l’informazione riuscisse a teletrasportarsi.
La meraviglia è ancora più grande se pensiamo che questi studi così lontani dalla vita di tutti giorni stanno portando a conseguenze concrete e tangibili. E infatti la correlazione quantistica assieme al fenomeno della sovrapposizione degli stati sono alla base del funzionamento di un computer quantistico. Per decenni ci siamo ottimisticamente affidati alla legge di Moore secondo la quale la complessità di un circuito elettronico raddoppia ogni 18 mesi. Il fatto è che per problemi legati alla dissipazione del calore per aumentare la complessità dobbiamo per forza aumentare la miniaturizzazione e purtroppo oltre un certo limite non possiamo andare. È per questo che l’applicazione di questa legge empirica comincia a vacillare e l’elettronica classica non riesce più a raddoppiare la potenza nei tempi previsti.
Ma ecco che in modo provvidenziale, quando oramai si iniziava a cadere in preda alla disperazione, comincia a spuntare all’orizzonte il calcolo quantistico. Immaginate di avere appena acquistato una nuova lavastoviglie. Siete contenti perché lava il doppio dei piatti nella metà del tempo rispetto al vecchio modello. All’improvviso venite a sapere che hanno prodotto un prototipo di lavastoviglie che lava in 3 millisecondi i piatti sporchi prodotti in un giorno da tutti gli abitanti di New York. È questo il livello di stupore e incredulità che avvertiamo noi informatici quando, navigando con i nostri pc che crediamo potentissimi, leggiamo delle prestazioni di questi fantomatici processori quantistici.
Ma cos’è un computer quantistico e come funziona? È veramente difficile riuscire a spiegarlo perché si tratta di un approccio alla programmazione completamente differente, servono nuovi algoritmi e un nuovo modo di concepire l’informatica stessa. Non voglio annoiarvi con approfondimenti tecnici, vi dico solo che in questi sistemi la più piccola unità di informazione non è più il bit che poteva assumere solo i valori zero e uno in modo esclusivo (cioè o zero o uno), bensì il qubit, contrazione del quantum bit, che può assumere contemporaneamente i valori zero e uno secondo uno spettro di probabilità. Grazie a questa contemporaneità di valori possiamo “parallelizzare” il calcolo riducendo drasticamente i tempi e la scalabilità dell’algoritmo.
Nel 1994 quando ancora il computer quantistico era pura fantascienza, suscitò stupore la pubblicazione di Peter Shor in cui descriveva un algoritmo per la fattorizzazione degli interi in tempo polinomiale basato sul calcolo quantistico. Il fatto è che l’impossibilità di scomporre in tempi ragionevoli un numero intero molto grande in fattori primi è alla base dei moderni algoritmi di cifratura a chiave asimmetrica, quelli, per intenderci, che usiamo tutti i giorni per connetterci all’home banking, per la firma digitale, per la PEC e per fare transazioni in Bitcoin. Se pensiamo che la capitalizzazione di tutte le criptomonete in circolazione sfiora i mille miliardi di dollari, si capisce perché l’attenzione è così alta e perché è in corso una gara tra i grandi colossi tecnologici per accaparrarsi la cosiddetta “supremazia quantistica” e per riuscire a produrre algoritmi di cifratura resistenti ad attacchi basati sul calcolo quantistico.
Focalizziamoci un attimo sul Bitcoin. La validazione di un blocco della blockchain è basata su un algoritmo di hash che si chiama SHA-256. Semplificando molto, ogni 10 minuti parte una gara tra tutti i miners: chi per primo riesce a scovare i 32 bit che compongono il cosiddetto “nonce” che, concatenato al blocco produce l’hash corretto, ottiene una ricompensa di 6 bitcoin, circa 120.000 dollari al cambio. Teoricamente con un processore quantistico di soli 32 qubit riusciremmo a rappresentare contemporaneamente tutte le possibili combinazioni e riusciremmo a trovare la soluzione in pochi millisecondi e accaparrarci la ricompensa. Stesso discorso per la sicurezza delle transazioni in Bitcoin adesso gestite da un algoritmo a curve ellittiche che produce chiavi di 256 bit e quindi come sopra basterebbero 256 qubit per permettere ad un hacker di rubarci tutti i nostri bitcoin!
Tanto per darvi un’idea della situazione, basta dirvi che l’IBM Eagle, il computer quantistico più potente attualmente in circolazione, lavora con 127 qubit.
In realtà è ancora presto (ma non prestissimo) per preoccuparci perché a causa di interferenze di varia natura l’inaffidabilità degli attuali prototipi è molto alta e servirebbe un numero molto più alto di qubit per compensare gli errori.
Per la cronaca l’immagine dell’articolo è prodotta da DALL-E, una intelligenza artificiale a cui ho chiesto di raffigurare il famoso gatto di Schrödinger (quello dell’omonimo paradosso della meccanica quantistica) mentre gioca con un bitcoin in un ambiente subatomico. Le AI sono un’altra grande applicazione del calcolo quantistico. Mi vengono i brividi pensando a cosa potrebbe fare una mente artificiale basata su qubit. Magari ne parliamo in un prossimo articolo