In queste settimane caotiche, nelle quali i tuttologi, che solitamente pontificano sul degrado del centro storico, sul festival di Sanremo e sulle diatribe tra gnocco fritto e cucina vegana, da tempo sono diventati così esperti di geopolitica che Anne Applebaum scansati, rimettere un po’ di ordine con un ripassino di storia e geografia non guasta.
Avete presente la Polonia? Dal 1815 (Congresso di Vienna) al 1915 è stata sotto dominio russo. C’è voluta una guerra mondiale per farla tornare indipendente. Nel 1919 però i Russi, questa volta con la stelletta rossa bolscevica sul berretto militare, l’hanno invasa di nuovo, arrivando alle porte di Varsavia. Respinti con perdite, nel 1945 l’hanno rioccupata, e non hanno mollato la presa fino al 1989, quando è crollato l’impero sovietico. Insomma, 150 degli ultimi 210 anni i Polacchi li hanno vissuti sotto il tallone di spietate dittature russe, quella degli zar prima e quella del Partito Comunista dell’Unione Sovietica poi. Un pezzo di Polonia però i Sovietici nel 1945 se lo sono direttamente annesso e poi se lo sono tenuto. E’ la striscia di Kaliningrad, un’area, oggi russificata e ipermilitarizzata, grande quasi come il Veneto, un angolo di Europa che più Europa non si può, visto che nella città baltica, per secoli tedesca e prussiana, è nato Immanuel Kant.

Il nome del generale Wladyslaw Anders vi dice qualcosa? La storiografia ufficiale locale ci insegna che Reggio Emilia, notoriamente, nell’aprile 1945 è stata liberata dai partigiani, nel senso che alcuni decine di partigiani il 24 aprile sono entrati in città, di corsa e festosi, e pochi secondi dopo, alle loro spalle, è entrata una colonna di molte migliaia di soldati americani, armati di armi automatiche, bazooka, mortai, carri armati e autoblindo. Non così a Carpi, dove nel locale museo cittadino è scritto che la città modenese è stata liberata dalle truppe alleate. Le cose sono andate ufficialmente in maniera diversa anche a Bologna, dove il 21 aprile (lo ricorda una targa a Porta Mazzini) le truppe polacche comandate dal generale Anders hanno ingaggiato furenti scontri a fuoco con i Tedeschi, lasciando purtroppo sul selciato i corpi senza vita di decine di soldati polacchi, e sono entrate per prime in città. Quello che molti ignorano, però, è che Anders, quando venne a sapere che Varsavia era stata occupata dai bolscevichi, comunicò ai comandanti Alleati che avrebbe riportato i suoi soldati in patria per combattere i nuovi invasori. Perché è vero che a est di Berlino i sovietici hanno sconfitto la Wermacht, ma poi hanno occupato per 45 anni mezza Europa, privandola di libere elezioni, della libera stampa, della possibilità di radunarsi liberamente e di esprimere le proprie opinioni senza finire in galera, insomma della libertà. Aggiungendo a tutto ciò il carico da 90 del paradiso collettivista, ovvero di un’economia dove per tutti, tranne che per i gerarchi del partito, i loro figli e le loro mogli e amanti, vigeva una povertà estrema, poco al di sopra della soglia di sopravvivenza. Per fortuna di Bologna, Anders rinunciò ai suoi propositi, ma la Polonia perse la libertà per quasi mezzo secolo.

Se Trump fosse stato il presidente degli Stati Uniti nel 1939
Per inciso, i Russi già nel 1939, dopo il patto di non belligeranza con i nazisti che consentì a sovietici e Tedeschi di impadronirsi temporaneamente della Polonia, fino al 1941, quando Hitler ruppe il patto e attaccò la Russia, avevano lasciato il loro inconfondibile marchio di fabbrica sterminando a Katyn 20.000 ufficiali e sottoufficiali polacchi che si erano arresi. Per 50 anni però negarono risolutamente le loro responsabilità nel massacro, e in Italia chiunque osasse avvalorare la tesi della matrice sovietica dell’eccidio venne bollato dai comunisti per decenni come agente provocatore al soldo degli Americani e dei “fassisti”. Poi, con Gorbaciov e con la caduta del Muro, i Russi ammisero di essere stati gli autori della strage.
Ma proseguiamo con la lezione di Bignami di storia. Il destino dell’Europa si decise nell’estate del 1944, quando gli Alleati, che stavano risalendo l’Italia dopo avere subito perdite ingentissime nel sud e nel centro del Paese, all’indomani della liberazione di Roma decisero di destinare parte delle truppe presenti nella penisola a uno sbarco nella Francia meridionale. L’obiettivo era quello di dare man fronte agli Anglo-Americani che, da giugno, erano sbarcati sul continente, e dalla Normandia si dirigevano verso Parigi e verso la Germania, incontrando una fortissima resistenza da parte tedesca.

Make America Fat Again
Churchill contrastò questa decisione, che fu presa di fatto dagli Americani. Il grande statista inglese infatti avrebbe voluto proseguire l’avanzata verso il nord Italia speditamente, perchè gli era ben chiaro che, ritardando la risalita dello stivale, grandi città europee come Praga, Budapest, Belgrado, Varsavia e la stessa Vienna sarebbero cadute sotto il giogo di Stalin e dei comunisti. Fatta eccezione per Vienna, dove i Russi furono costretti a mollare la preda, fu esattamente ciò che accadde. Tra parentesi, lo sbarco di ferragosto in Provenza consentì alla Wermacht di resistere un po’ di mesi in più nel centro e nord Italia, e fu proprio nell’autunno-inverno del 1944 che sugli Appennini si consumarono alcune delle peggiori stragi nazifasciste in Italia, che ancora oggi segnano così profondamente la nostra memoria.
Va detto che la controffensiva lanciata nelle Ardenne dai Tedeschi nel dicembre 1944, dove gli Americani lasciarono sul campo la cifra pazzesca di oltre 70.000 vittime in due mesi, dimostrò che l’esercito di Hitler era un nemico veramente duro da sconfiggere.

Ultimo ripassino di storia. Churchill scrive nelle sue memorie che, quando si incontrò a Yalta con Roosevelt e Stalin, chiese agli ufficiali sovietici che gli facevano da guardie del corpo di accompagnarlo sui luoghi della guerra di Crimea. Con enorme sconcerto, Churchill capì che a quei soldati il regime comunista aveva fatto credere che in Crimea la Russia, che in realtà aveva subito una pesantissima disfatta nella guerra contro Inglesi, Francesi e Piemontesi, nel 1856 aveva vinto! Questo dettaglio è utile da tenere a mente, perché Putin e Lavrov amano lanciare minacce all’Europa ricordando la fine che hanno fatto in Russia Hitler e Napoleone, ma dimenticano che in Crimea nel 1856 i Russi le hanno prese di santa ragione.
Ricapitolando, è vero che la Russia, anche grazie alle copiosissime forniture belliche di Inglesi e Americani, ha dato un contributo decisivo alla sconfitta dei Tedeschi nella seconda guerra mondiale. Però dei 27 milioni di caduti sovietici, almeno 7 milioni furono ucraini. Il primo ufficiale dell’Armata Rossa, che entrò ad Auschwitz nel gennaio 1945, era ucraino. E l’altissimo numero di caduti tra i militari sovietici fu anche dovuto alle tattiche del generale Zukhov: i Tedeschi erano scioccati dal numero esorbitante di soldati sovietici che uccidevano, perché venivano mandati a frotte a farsi ammazzare per conquistare pochi metri di terreno. Dichiarazioni abbastanza simili si ascoltano anche oggi da parte dei cecchini ucraini.

Infine, giova sempre ricordare che la II Guerra Mondiale iniziò nel 1939 grazie al patto Ribbentrop-Stalin, che consenti ai nazisti di coprirsi sul fianco orientale e di attaccare Belgio e Francia a ovest. Nel giugno 1940, quando i nazisti entrarono trionfalmente sugli Champs Elysees, in prima fila a sventolare i fazzoletti c’erano i comunisti francesi, che avevano ricevuto da Stalin l’ordine di accogliere amichevolmente gli allora alleati dell’URSS.

Sintetizzando molto: un bel pezzo d’Europa (scusate il francesismo macroniano) si è rotta il cazzo della Russia. Polacchi, Baltici (che hanno riacquistato la libertà solo nel 1991), Rumeni, Moldavi (tuttora parzialmente occupati dai Russi nella regione della Transistria), Cechi (invasi dai sovietici nel 1968), un bel po’ di Slovacchi e di Ungheresi (invasi dai Sovietici nel 1956), Finlandesi (invasi dall’Armata Rossa nel 1940), Svedesi e Norvegesi sono stufi di vivere sotto il terrore di un’ennesima occupazione militare proveniente da Mosca. Non parliamo degli Ucraini, che tra i massacri della guerra civile tra Bianchi e Rossi tra il 1917 e il 1923, le purghe staliniane, la collettivizzazione forzata delle campagne e l’ Holodomor, hanno sacrificato milioni di vite sull’altare della forzata convivenza con Mosca. I Britannici giustamente considerano da sempre il Baltico e il Mare del Nord come mari aperti alla libera circolazione delle navi, e dunque non sono disposti a consentire ai Russi di imporre i diktat di Mosca sui popoli che vivono lungo quelle sponde. Perfino i Tedeschi hanno abbandonato il loro 80ennale pacifismo e il nuovo cancelliere Mertz ha annunciato che il Paese spenderà 1.700 miliardi di euro per riarmarsi rapidamente. Da Brest-Litovsk (confine tra Bielorussia e Polonia) a Gorlitz (confine polacco tedesco) ci sono meno di 800 km, una colonna di camion carichi di soldati può percorrerli in 10 ore.

Paterlini è vivo e lotta insieme a noi
Molti di questi Paesi formeranno il nucleo della Coalizione dei Volonterosi che cercherà di arginare Putin in Ucraina. L’Italia potrebbe non farne parte, ma il nostro Paese ha una lunghissima tradizione di opportunismo e doppiogiochismo. L’Italia non finisce quasi mai una guerra con gli stessi alleati con i quali l’ha iniziata. Memori della nostra origine di coacervo di città-stato litigiose e votate alla ricerca del privilegio, noi Italiani siamo sempre attenti a osservare dove tira il vento e a stare col più forte, pronti a cambiare cavallo se le cose volgono al peggio.
Anche a Reggio, quindi, assistiamo al consolidarsi, attorno alle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, di una sorta di Coalizione Senza Nome ma arlecchinesca, nel senso che è variegata e assume toni piuttosto clowneschi. Chiamarli putiniani, rossobruni o pacifinti non possiamo, si offendono, dunque lasciamoli senza un nome. Questa coalizione teorizza il pacifismo del buon Putin, presunta vittima dell’imperialismo di un’Europa guerrafondaia, e, a volte a denti stretti, ma più spesso apertamente, proclama che Zelensky l’agguato a suon di insulti nello Studio Ovale di Trump se l’è meritato. I reggiani anti UE sul banco degli imputati mettono i “russofobi” come la estone Kaja Kallas, un po’ prevenuta contro i Russi, forse perché nel 1949 il nonno, la nonna, la bisnonna e la mamma, che all’epoca aveva 6 mesi, vennero caricate su un treno insieme a migliaia di altri estoni e spedite in Siberia. In effetti Putin per forza di cose deve essere vittima delle circostanze. Quando ha raso al suolo Grozny, poi Aleppo, poi Mariupol, così come quando ha invaso la Georgia, è stato un aiuto fraterno, lo ha fatto per il loro bene.

Anche l’Ucraina non avrebbe voluto invaderla, e fino a febbraio 2022 stragiurava che non lo avrebbe mai fatto, poi è successo quello che è successo, il Donbas, che Putin voleva salvare dai nazisti, oggi è un posto accogliente e ameno come la Stalingrado del 1943. Quindi, quando Putin promette che mai e poi mai, una volta sottomessa e cancellata l’Ucraina, torcerà un capello a Baltici, Polacchi, ecc., cioè all’Europa, perché non dovremmo credergli? Reggio per altro è particolarmente propensa a dargli fiducia, ci sono consolidati legami, pluriennali e anche più recenti, tra la nostra città e il Ruski Mir. Basti pensare alle ottime relazioni con Gazprom, ai gemellaggi culturali con l’Hermitage, agli illustri e attempati maggiorenti di scuola ex PCI che a Mosca continuano ad andare in pellegrinaggio. Ecco perché c’è una parte influente, e tutt’altro che marginale della nostra città, pronta a spellarsi le mani se influencer che la Russia la conoscono soprattutto per le assidue frequentazioni delle ragazze dei night club pedecollinari (Fantozzi le definirebbe “tutte signore dell’alta aristocrazia borghese”) prendono le difese dell’ottimo Putin e tuonano contro l’Europa bellicista.
E’ una coalizione di Arlecchini dove spiccano pacifisti sui generis, gente che l’8 ottobre postava sui social disegni di guerriglieri palestinesi in deltaplano con le dita a V (poi le cose per i Palestinesi non si sono messe benissimo) e oggi, dinnanzi alle fosse comuni di Bucha e Mariupol e ai missili russi che piovono sulle case popolari di Kyiv, si volta dall’altra parte e dà la colpa agli ucraini brutti, nazisti e cattivi. Non mancano i cattolici tutti di un pezzo, quelli che, quando frequentavano le fondazioni bancarie, erano assai più prudenti e misurati e invece oggi incolpano a gran voce “l’Occidente” (Putin aggiungerebbe l’aggettivo “collettivo”) di tutte le nefandezze commesse dalla Russia. Per la Coalizione Senza Nome perfino un’innocua manifestazione per l’Europa come quella del 15 marzo diventa una specie di parata militarista, ed ecco il florilegio di nannimorettiani “mi si nota di più se vado o non vado”, gli appelli al boicottaggio, le contromanifestazioni, le adesioni dall’esterno e le partecipazioni con distinguo, tutto il ridicolo rituale anni ’70, insomma, che, da quando c’è l’asse tra Schlein e Conte, è tornato a spadroneggiare a sinistra e dintorni. Questa armata brancaleonesca di grillini, leghisti, ex comunisti, ex democristiani rampanti, ex edonisti invecchiati male, che tuonano contro la manifestazione romana del 15 marzo non è niente di nuovo sotto il sole, come detto, anzi, è la fotografia rivisitata e corretta del manzoniano “volgo disperso”, intriso di “servo sudor”, che non si percepisce come un popolo e non ha la coesione di un popolo, e dunque “nome non ha”. Franza o Spagna purché se magna, benaltristi,
Viva Verdi va bene, ma in fondo sotto l’Austria non si sta così male, eccetera eccetera. Dunque non preoccupiamoci se la Russia, che dispone oggi di 220 brigate, ne avrà 300 entro il 2029, cioè se gli effettivi del suo esercito passeranno presto da 900.000 a 1,5 milioni. Putin, ci rammentano i suoi fans reggiani, o meglio i tanti che non lo considerano un criminale bensì uno statista, lo fa per difendersi dalla NATO, e l’Europa, abbandonata e bullizzata da Trump e Musk, farebbe bene a disarmarsi ulteriormente, non sia mai che i simpatici russi se ne abbiano a male e magari ci tirino un missile nucleare: con la tecnologia di cui dispongono, se lo lanciano su Londra, potrebbe finire su Forte dei Marmi. Insomma, la declinazione reggiana della tragedia che vivono l’Ucraina e l’Europa, chiamata a una sfida epocale, cioè a navigare in un mare in tempesta in cui per la Washington “le Americhe appartengono agli Stati Uniti, l’Asia alla Cina, l’Europa alla Russia e il Medio Oriente è contendibile” (Wall Street Journal) é assai folcloristica. Ma la faccenda è veramente seria, molto seria.














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