Il cosiddetto Piano di Pace per l’Ucraina, presentato dagli europei e guidato dal premier inglese Keir Starmer e dal presidente francese Emmanuel Macron, contiene diversi elementi che stonano con il diritto internazionale dei conflitti armati attualmente riconosciuto dalla comunità internazionale (stando agli articoli sul tema pubblicati dai principali quotidiani).
Il Piano richiama la struttura giuridica del diritto internazionale ai tempi della Società delle Nazioni, riproponendo una valutazione etico-politica delle cause della guerra e qualificando negativamente la nozione di “aggressione”. Nozione che, tuttavia, con l’eccezione di Norimberga, non ha ancora trovato un posto definitivo né nel diritto penale internazionale né in quello pubblico internazionale.
Oggi, infatti, l’aggressore non è più un justus hostis, ma nemmeno un criminale.
Il Piano riduce a un dialogo forzato tra Stati terzi la possibilità di ritualizzare la guerra tra Russia e Ucraina, cercando di limitarla attraverso una prima, timida tregua di un mese e impedendole, quindi, di trasformarsi in una guerra di annientamento. Ma la tregua – con il correlato cessate-il- fuoco per lo spazio aereo, navale e le infrastrutture strategiche – deve essere anzitutto affidata alla volontà dei Paesi belligeranti. Se questi non vogliono, non esiste un ente terzo che possa attualmente imporla giuridicamente.
A maggior ragione se la pace viene considerata “giusta” e accompagnata dall’invio europeo (cioè dell’ente terzo) di armi e finanziamenti a uno dei Paesi in guerra. L’ente terzo, di fatto, diventa alleato di una delle due parti: trionfa la politica, arretra il diritto. La formula dell’invio di forze di pace (peacekeeping) da parte dell’ente terzo è sintomatica del concetto di pace “giusta”, ovvero l’antitesi di un vero negoziato.
Gli europei, ormai, terzi non lo sono più da un pezzo: sono alleati dell’Ucraina agli effetti dello jus in bello riconosciuto dalla comunità internazionale (Convenzioni dell’Aja, Ginevra e trattati). L’aggettivo “giusto” rimanda al diritto naturale, ma non al diritto positivo.
C’è, infine, un ultimo elemento: l’affidabilità degli Stati Uniti. Il Piano è rivolto agli USA per
rilanciare un atlantismo 4.0, e non è un caso che il capofila dei “volenterosi” in pectore sia proprio il Regno Unito. Gli americani, però, hanno prima messo a ferro e fuoco l’Iraq e poi, a lavoro concluso, l’hanno abbandonato al suo caotico destino; hanno fatto lo stesso in Afghanistan, dove i Talebani sono tranquillamente rientrati; hanno appaltato la guerra al Daesh ai curdi del Rojava e poi ciao ciao; ora stanno smollando l’Ucraina a un’Europa più divisa che mai, pensando soltanto a sé stessi. Gli USA guardano all’Indo-Pacifico, e sono padroni e sovrani di farlo.
Non è soltanto Trump il problema: è il DNA americano ad avere qualcosa che non va. Si chiama inaffidabilità. L’altro problema è un’Europa che non esiste e che cerca di correre ai ripari fuori tempo massimo, senza forse capire che il Piano di Pace è la sua definitiva tomba: un altro DNA politico che funziona a corrente alternata. Il Piano di Pace proposto dai “volenterosi” riflette perfettamente entrambe queste caratteristiche. Potrà anche essere “giusto”, ma è poco credibile.