Consumo suolo, l’incuria costa all’Italia 400 milioni l’anno

Il rapporto Snpa 2024: si perdono 20 nuovi ettari al giorno

Il consumo di suolo in Italia non si arresta. Rallenta pochissimo e esclusivamente per via della dismissione di cantieri esauriti, ma resta comunque elevatissimo. Tanto da ridurre sempre di più quello che si chiama “effetto spugna”, ovvero  la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico con conseguente aggravamento, via via  più drammatico e tangibile come abbiamo visto ultimamente,  di alluvioni, siccità, disastri ambientali. Una spavalda e colpevole incuria che, secondo le stime, costa all’Italia oltre 400 milioni di euro all’anno. Come sottolinea l’ Ispra (istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) dopo la divulgazione del rapporto 2024 sul consumo di suolo di Snpa (Sistema nazionale protezione ambiente, un sistema federativo di 21 agenzie ambientali, Ispra compreso).

Il rapporto Snpa 2024 si intitola “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” e rende noti i dati dell’intero 2023, descrivendo, angolo del paese dietro angolo e chi più chi meno ma mai nessuno nei limiti che sarebbero necessari, l’ennesima spensierata rapina di un suolo. Il ritmo è di 20 nuovi ettari al giorno: ulteriori 72,5 km2 in tutto l’anno. Il consumo rallenta di poco rispetto all’anno precedente ma non si arresta e supera la media dei dieci anni 2912 e il 2022 che era stata di 68,7 km2. Un incremento, ragiona il report, che non viene attutito dal piccolissimo rallentamento del 2023 rispetto al 2022,  dovuto quasi esclusivamente al  non esauriente ripristino di poco più di 8 km2 di aree naturali, dovuto in gran parte al recupero di aree di cantiere

Inizia il  rapporto: “Il suolo rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua, ospitando gran parte della biosfera. È una risorsa vitale, limitata, non rinnovabile e insostituibile”. Spiega anche come un suolo sano sia “la base essenziale” dell’economia, della società e dell’ambiente, perché produce alimenti, sostiene le popolazioni nel resistere ai cambiamenti climatici, attutisce gli effetti degli eventi meteo estremi che ormai il climate change ci fa considerare quasi inevitabili, tiene testa a siccità e inondazioni, produce benessere, riesce a immagazzinare carbonio, assorbe, conserva e filtra l’acqua, fornisce una serie di servizi vitali come alimenti sicuri e nutrienti e biomassa per i settori non alimentari della bioeconomia.

Ecco, pur di fronte a tutti questi vitali vantaggi, l’Italia , nell’ultimo anno, ha perso suolo al ritmo di 2,3 metri quadrati ogni secondo, spargendo cemento con allegra incoscienza. Senza neanche considerare che la perdita dei servizi ecosistemici legata al consumo di suolo non è solo un problema ambientale, ma anche economico . Tanto che la riduzione dell’ “effetto spugna” ha prodotto un “caro suolo” che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della biodiversità e produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima, che già abbiamo detto costare al paese oltre 400 milioni di euro all’anno. Un costo altissimo che tra il 2006 e il 2023, viene stimato tra i 7 miliardi e i 9 miliardi. Mentre  la perdita di capitale naturale nello stesso periodo varia tra 19 e 25 miliardi.  Come sottolinea, commentando il rapporto 2024 di Snpa, anche Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, nata nel 2016 per sostenere l’importanza dell’Agenda 2030 e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni verso la realizzazione di obiettivi di sviluppo sostenibile.

L’Italia continua a consumare troppo suolo, lanciano l’allarme Snpa, Ispra,  Asvis.  Ogni giorno, in Italia, spariscono sotto il cemento 20 ettari di suolo naturale,  72,5 km2 in un anno, pari a tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze messe insieme.  Cambia la classifica dei comuni “risparmia suolo” che consumano nell’anno poco o niente suolo. Vincono Trieste, Bareggio (Mi) e Massa Fermana (Fm) . Come descrive il rapporto Snpa che in questa edizione pubblica i dati per tutte le regioni, le province e i comuni italiani. Accompagnandoli con un  l’EcoAtlante capace di facilitare l’assunzione di provvedimenti ad hoc, differenziati e via via adatti alle diverse situazioni, agli uomini di buona volontà se se ne presentassero.

Per ora, non sembra. Il totale del suolo via via cementificato in Italia ha raggiunto nel 2023 più di 21.500 km2, di cui l’88% su suolo utile. In percentuale, oltre il 10% del suolo utile italiano. Oltretutto, aumentano, nel ‘23, gli interventi che cancellano il suolo in modo irreversibile con nuove impermeabilizzazioni permanenti che superano di 26 km2 la strage duratura di suolo dell’anno precedente. Il 70% del nuovo consumo di suolo avviene nei comuni classificati come urbani secondo il recente regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) che prevede di azzerare la perdita netta di superfici naturali e di copertura arborea a partire dal 2024 in cui, invece, si trovano nuovi cantieri per la cementificazione di altri 663 ettari, edifici già realizzati per 146 ettari in più e piazzali asfaltati per nuovi 97ettari.

L’ esorbitante e continua occupazione di suolo fa si che in Italia le aree verdi a disposizione dei cittadini si riducano sempre di più, tanto che solo meno di un terzo della popolazione urbana riesce a raggiungere un’area verde pubblica di almeno mezzo ettaro entro 300 metri a piedi. Mentre proseguono le trasformazioni nelle aree a pericolosità idraulica media, dove la superficie artificiale avanza di oltre 1.100 ettari,  si sfiorano i 530 ettari nelle zone a pericolosità da frana, dei quali quasi 38 si trovano in aree a pericolosità molto elevata.

La Valle d’Aosta e la Liguria sono le uniche regioni dove la cementificazione non è cresciuta più di 50 ettari : in Valle d’Aosta, solo 17 ettari e dunque risulta  la regione che consuma meno suolo, seguita dalla Liguria (+28). Mentre nella lista delle regioni cementificatrici vince il  Veneto (+891 ettari), seguito da Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643), Piemonte (+553) e Sicilia (+521).   Secondo Asvis le regioni particolarmente vulnerabili, come Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Campania, sopportano una pressione crescente dovuta soprattutto a espansioni industriali e logistiche.

Quanto a comuni, per la prima volta Roma,  che finora era sempre andata in crescita rispetto al passato, con i 71 ettari di suolo ulteriormente cementificato nel 2023riduce il consumo di nuovo suolo all’anno precedente (+124 ettari). Accade, però anche, riflette il report, perché la capitale aveva già sparso tanto cemento negli anni da risultare tra i comuni con il consumo di suolo più alto, tenuto conto che si tratta ì quello  con la maggiore superficie in Italia. Chi sparge cemento ? Nel 2023 la logistica ricopre altri 504 ettari in un solo anno, una crescita attribuibile principalmente all’espansione dell’indotto produttivo e industriale (63%), mentre la grande distribuzione e le strutture legate all’e-commerce contribuiscono rispettivamente per il 20% e il 17%, prevalentemente nelle regioni del Nord Italia. 

In conclusione, l’Italia resta lontana dall’obiettivo europeo di azzerare la perdita di suolo entro il 2050. Consuma, a livello europeo, più suolo di altri paesi e dunque “necessita di politiche più incisive per tutelare il territorio e contenere l’espansione urbana”. Come sottolinea Asvis che chiede una legge nazionale sul consumo di suolo,  ricordando, sulla base del rapporto Snpa, chec il “consumo di suolo in Italia compromette sempre più i servizi ecosistemici, fondamentali per la biodiversità e la regolazione ambientale”. Visto che già nel  2023, l’88% del nuovo suolo cementificato si trovava su terreni ecologicamente utili, frammentando gli habitat e riducendo del 10% le specie animali e vegetali nelle aree urbanizzate.

Oltretutto, segnala  Asvis,  le superfici cementificate raggiungono temperature fino a 5 gradi superiori rispetto ai suoli naturali, riducendo la qualità della vita, soprattutto nelle grandi città. “La perdita della capacità del suolo di trattenere l’acqua, regolare il clima e sostenere la biodiversità espone le comunità a costi crescenti. Ridurre l’impermeabilizzazione e ripristinare gli habitat sono interventi urgenti per frenare questo degrado”, raccomanda Alleanza per lo sviluppo, calcolando che se si continuasse a questo ritmo si potrebbe stimare il nuovo consumo di suolo in 1.739 km2 tra il 2023 e il 2050 e che se fosse confermata la velocità  media 2006-2023 si potrebbe prevede un costo complessivo tra il 2006 e il  2030 tra 173 e 212 miliardi di euro.

 Il consumo di suolo è prevalentemente legato alle edificazioni, le infrastrutture e le  industrializzazioni e riguarda soprattutto l’espansione delle città, racconta il report Snpa. Dal 2012 al 2018 il suolo consumato è aumentato di 6,6 m2 per abitante ed è salito nell’ultimo quinquennio a 10,9 m2 per abitante. Comunque  il legame tra la demografia e i processi di urbanizzazione e di infrastrutturazione non è diretto, tanto che le superfici artificiali stanno crescendo anche in presenza di una stabilizzazione, ma in molti casi anche di una decrescita, della popolazione residente e che, in epoca di  flessione demografica, il suolo consumato pro-capite aumenta ancora dal 2022 al 2023 di 1,3 metri quadri per abitante e di 17,5 m2 dal 2006.

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