I thriller di Marco Vannini: da granchi e paguri ai delitti della porta accanto

Le inchieste del commissario Falteri, alter ego dello zoologo fiorentino

Firenze – Stretta tra alti palazzi nobiliari, chiese, monasteri e case popolari, via Borgo Pinti procede verso nord dal centro di Firenze fino a piazza Donatello, lunga e per lo più buia, paciosa e con poco traffico, rari bar e botteghe, oltre a un paio di trattorie dove ancora si mangia bene e a prezzi accessibili. 

In epoca medievale era appunto un abitato a sé stante oltre la prima cerchia delle mura, dove andavano a stabilirsi gli ultimi arrivati, compresi gli ormai estinti nobili Pinti, ebrei sefarditi fuggiti dalla Spagna, di cui è rimasto solo il nome.

A dispetto dell’apparenza tranquilla e senza tempo, oggi in Borgo Pinti può succedere di tutto: morti ammazzati, rapimenti, lenocini, traffici tortuosi di droga e di migranti. Se non che, ad assicurare i manigoldi alla giustizia provvede immancabilmente un anziano abitante della zona, l’ex commissario di polizia Bruno Falteri, grazie all’intuito ben collaudato, a indagini pochissimo ufficiali e a un gruppo di amici e amiche soliti a frequentare il bar all’angolo con via dei Pilastri. In particolare la giovane e bella francese Brigitte Lecomte, detta Bri Bri.

 Questo è l’habitat e questi i personaggi della collana di thriller firmata da Marco Vannini, zoologo dell’università di Firenze oggi in pensione, specialista di granchi e di paguri, di gamberi e patelle, indagati sul campo per circa quarant’anni sciacquettando lungo le coste dell’Africa orientale.

Oltre a essere un eccellente naturalista, direttore del suo Dipartimento e per una dozzina d’anni della Specola, il primo museo scientifico del mondo, Vannini è uno scrittore nato dall’a alla zeta. Per cultura, fantasia, esperienze e capacità letterarie, batte per distacco anche tanti celebrati imbrattacarte vincitori di Streghe e di Campielli, per tacere dei troppi giornalisti analfabeti (quorum ego) impegnati a torturare i resti di un mestiere in piena decadenza e forse senza un prevedibile futuro.

Ciò ė tanto più straordinario se si pensa che Vannini è tuttora del tutto sconosciuto perfino ai media della sua Firenze, sempre molto sordi e ciechi, benché notissimo ai lettori avendo pubblicato una ventina di titoli tra divulgazione scientifica e narrativa, oltre alle centinaia di articoli destinati alle grandi riviste naturalistiche internazionali e ai congressi specialistici.

Per gli amanti dei thriller eccone un bel pacchetto editato dal professore in questi anni, parte con Montaonda, altri in proprio con Amazon, tutti più o meno di 200 pagine per 12 euro circa: ‘Camper per il morto’, ‘Pandemia’, ‘Due a due’, ‘Sangue sugli oleandri’, ‘La morte di Vera’, ‘Morire al museo’, ‘I due levrieri’, ‘Ti volevo uccidere’, ‘L’uomo delle biciclette’, ‘Il barone Zanowski’, eccetera. 

Sulle orme del celeberrimo commissario Montalbano, il pensionato Falteri colpisce sornione a Firenze, a volte in trasferta nel vicino Mugello e in Versilia, implacabile anche quando indaga nei tenebrosi misteri di Venezia. La penna di Vannini scorre agile e svelta, amara quando occorre, altrimenti ironica, divertita, colta, spiritosa come negli spassosi gialli di Tom Sharp. Sorprendenti gli intrecci, fiato sospeso fino all’ultimo. Il professore non delude mai.

Tanto meno delude quando scrive dei suoi animali prediletti. In passato ha pubblicato volumetti divulgativi su api e ragni. Adesso, vispo ultraottantenne, ha da poco mandato in libreria due nuovi titoli: una storia della Specola ricca di pettegolezzi colti, e una formidabile autobiografia professionale da sperimentato protagonista della vita accademica, appasionato cultore di crostacei e osservatore, attento quanto smaliziato, di costumi, società e politica.

 “La Specola. La singolare storia del Museo, dal divino Marchese all’ultimo uomo che parlava con i cannoni”, ed Unicorboli, pagine 122, € 14, è dedicato ai grandi scienziati (Faraday, Davy, Webb…) e personaggi (Napoleone, De Sade, Stendhal…) che hanno visitato l’istituzione fondata nel 1775 in via Romana a Firenze dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena e dall’abate Felice Fontana.

 “Granchi, Africa e altro ancora. Avventure di un etologo a spasso per il mondo“, ed Unicopli, pag. 312, € 22, raccoglie invece le memorie di Vannini: viaggi, luoghi, colleghi, amici, avversari, famiglia, entusiasmi, delusioni, incontri, studenti, esami, laboratori, difficoltà, pericoli, e ovviamente animali, incrociati nell’arco di una lunga vita. E mai avrei pensato di imparare tanto divertendomi, financo a ridere di gusto, leggendo un libro all’apparenza severo come può esserlo la scienza, in realtà romanzo affascinante a molti strati e dimensioni umane, quanti ne possono contenere l’Occidente e l’Africa tropicale. E anche scrivendo di crostacei, lo humour di Vannini mai viene meno.Y

Forse esagero se dico che, chiudendo gli occhi, è un libro capace di far sognare. Di immaginare un Vannini / Russell Crowe  in battaglia al comando di un veliero di Sua Maestà britannica in missione per i mari del mondo. Oppure un Vannini / Charles Darwin sul Beagle nel lungo viaggio a esplorare le origini dell’uomo. Ma anche la quantità di disavventure, inciampi maldestri e battute a bruciapelo è tale da suggerire facilmente un Vannini/ Alberto Sordi / Nino Manfredi / Peter Sellers, specie quando inventa improbabili marchingegni di lavoro che per lo più fanno cilecca, o nell’incontro notturno coi piedi di un indigeno che se la ride di quel matto europeo intento a inseguire paguri su una sperduta spiaggia somala. 

 Più Linneo e Lamarck che Darwin, più naturalista che antropologo, Vannini ha concentrato i suoi studi su certi granchi minuscoli abitatori degli acquitrini di mangrovie, confessando in conclusione di averne capito assai poco oltre i dettagli misurabili, il dove e il quanto. Il perché dei loro comportamenti, per esempio come riescono a prevenire l’andamento delle maree, resta un mistero. 

A cosa serve sapere cosa fanno i granchi, a parte arricchire la pura conoscenza del mondo animale? In apparenza a nulla, benché il sapere finisca sempre per essere utile a qualcosa. Per dirne una, come si è poi scoperto, quei granchietti pare che giovino alla sopravvivenza vicino alla riva del popolo delle mangrovie, pesci e molluschi che così restano facili prede dei pescatori.

 Di questo e altri contributi va giustamente fiero lo zoologo scrittore Marco Vannini. Una vita spericolata come nei film, una vita alla Steve McQueen.

In foto Marco Vannini

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