Tregua in Libano, ma Netanyahu è fra due fuochi

Processo e critiche all’interno, il mandato di arresto della CPI
BILATERAL MEETING WITH THE PRIME MINISTER OF ISRAEL Photo credit: Matty STERN/U.S. Embassy Jerusalem

La fragile tregua in Libano ha messo in secondo piano la notizia che la Corte distrettuale di Gerusalemme ha concesso, dopo reiterate richieste (tutte respinte), un rinvio di 8 giorni al primo ministro Benjamin Netanyahu. Accettando in parte l’istanza della difesa di posticipare di 15 giorni l’audizione in tribunale – nei tre casi di frode, abuso d’ufficio e corruzione per cui è a processo – riconoscendo la motivazione degli impegni del premier nei conflitti di Gaza e Libano. L’ufficio del procuratore ha dichiarato di essere contrario a qualsiasi ulteriore ritardo. Che farebbe slittare il dibattimento alle calende greche. Resta aperta la questione, sollevata dai legali di Bibi, di come verrà assicurata la sicurezza al testimone durante il processo, visto che il tribunale è sprovvisto di rifugio antiaereo. I servizi di sicurezza dello Shin Bet si erano astenuti dal presentare una valutazione di rischio di pericolosità alla presenza di Netanyahu in aula.

E così per una udienza che apre le porte, una invece è lontana da concretizzarsi. Il mandato di arresto della Corte penale internazionale nei confronti di Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Gallant agita la diplomazia. Al punto da diventare una patata bollente sul tavolo dei lavori del G7 dei ministri degli esteri. Dove, tuttavia, hanno prevalso reazioni discordanti, e una generica cautela ha consigliato di prendere tempo.

Essere contrari o favorevoli alla decisione all’unanimità dei giudici internazionali non è una questione di punti di vista. Può non piacere, è comprensibile. Quello che importa è che per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale il capo di stato di una democrazia occidentale è chiamato a rispondere dell’ orribile accusa di crimini di guerra. Per la prima volta un leader, eletto liberamente e democraticamente, è ricercato perchè sussistono fondati motivi per ritenere che abbia intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità. 

Responsabilità da cui l’imputato Netanyahu ha il diritto di difendersi, sempre che, come ci auguriamo, accetti di essere giudicato. Prospettiva ad oggi non presente nella sua agenda. Prepariamoci, quindi, ad un Bibi infuriato che scatenerà l’Inferno. Urlerà la sua innocenza ai quattro venti, e poi andrà a chiedere aiuto a Donald Trump. Perchè punisca gli organi internazionali che hanno osato metterlo nella lista dei peggiori criminali al mondo. Noa Landau, una delle migliori firme del giornalismo israeliano, è convinta che: “Netanyahu ora ha due obiettivi [dopo l’emissione del mandato di arresto nei suoi confronti da parte della CPI]. Il primo è quello di persuadere gli israeliani che i casi internazionali non sono rivolti a lui personalmente, a causa del modo in cui ha scelto di condurre la guerra, ma contro tutti gli israeliani come collettività e nazione. Il secondo è quello di lanciare una guerra di distruzione per smantellare le norme e i meccanismi liberali comunemente concordati”.

Un altro piccolo passo verso la verità viene dalla commissione d’inchiesta indipendente istituita dalle vittime del 7 ottobre, arrivata alla conclusione che l’intero governo ha “fallito la sua missione primaria” e che le Forze di Difesa Israeliane, lo Shin Bet e altre istituzioni “hanno completamente mancato nel raggiungere il loro obiettivo: proteggere i cittadini di Israele”. Quattro mesi di lavoro durante i quali sono state presentate 120 testimonianze, ascoltati ex primi ministri, alti ufficiali della difesa e funzionari dell’intelligence. Nel rapporto finale il collegio civile ha ripetutamente avvertito la preoccupazione che il loro operato non può sostituire quello di un’indagine ufficiale di stato. Coloro che hanno accettato di rilasciare libera deposizione hanno tratteggiato il primo ministro come “responsabile di aver minato tutti i centri decisionali, compreso il gabinetto e il Consiglio di sicurezza nazionale, in un modo che ha impedito qualsiasi discussione seria che includa una pluralità di opinioni su questioni di sicurezza significative”. Secondo la commissione, “l’arroganza e l’intrinseca cecità hanno anche portato la leadership politica a rafforzare Hamas, trasferendo fondi ed evitando di rispondere alle minacce”. L’indagine ha anche rilevato responsabilità nei predecessori, Naftali Bennett e Yair Lapid, nonché dell’ex ministro della Difesa Benny Gantz.

Aeyal Gross su Haaretz: “Per quanto molti israeliani si sentano a disagio nel vedere i propri leader accusati di crimini internazionali, non ci si interroga abbastanza su cosa si sarebbe potuto fare in alternativa. Israele avrebbe potuto evitare la sentenza se le sue politiche riguardanti gli obiettivi e l’autorizzazione degli aiuti umanitari a Gaza – così come molte altre decisioni prese dopo il 7 ottobre – fossero state diverse?”. Probabilmente non saremmo qui a scrivere. E molti non piangerebbero la perdita dei propri cari. Purtroppo, quel terribile giorno la storia ha preso una piega di orribile inciviltà.

Alfredo De Girolamo  Enrico Catassi

Nella foto Benjamin Netanyahu

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