La notte fra il 2 e il 3 novembre di un anno fa, un’ondata alluvionale di estrema violenza sommerse Campi Bisenzio, Prato, Quarrata, Pistoia e i Comuni limitrofi, causando danni per 2 miliardi e 700 milioni di euro e 8 vittime. La ricognizione effettuata dalla Regione Toscana e dalla società Sviluppo Toscana spa, di cui sono membro del Consiglio di Amministrazione, ha rilevato danni nell’ordine di miliardi come segnalato anche da IRPET, l’Istituto di programmazione economica della regione, tra diretti e indiretti subiti dalle imprese e dalle famiglie, senza considerare i danni a infrastrutture pubbliche quali strade, ferrovie, fiumi, torrenti e altri beni. C’è chi ha perso tutto, altri che avevano macchinari e prodotti da consegnare ora completamenti danneggiati. L’onda d’urto dell’acqua ha inabissato migliaia di imprese di un tessuto produttivo rilevante per il PIL nazionale.
Occorreva sbloccare risorse adeguate e renderle immediatamente disponibili. Invece, un anno dopo e a valle di altri eventi calamitosi, si registra l’inaccettabile inazione del governo, che, a distanza di oltre un anno dall’alluvione, è fermo allo stanziamento di cifre irrilevanti, in confronto ai danni reali ormai accertati. Ad oggi, sono state erogate troppe poche risorse a livello statale come ha ricordato lo stesso Presidente della Regione Eugenio Giani: “Quello che abbiamo vissuto è stato un momento durissimo nel quale la Toscana ha reagito con grande determinazione e unità. Abbiamo reagito grazie ai cittadini, alla forza delle istituzioni e alla solidarietà di chi si è messo al servizio della comunità. Oltre 8.600 richieste di rimborso sono già finanziate con oltre 23 milioni di euro di risorse regionali. Restano 600 soggetti che non hanno ancora comunicato l’IBAN necessario per procedere al pagamento e circa 300 casi particolari che i Comuni stanno gestendo direttamente”. La pagina web da consultare per completare le procedure per il rimborso delle spese sostenute è regione.toscana.it/alluvione2023.
“Attualmente nei vari territori della Toscana sono in corso oltre 600 interventi per la difesa del suolo e la salvaguardia del territorio, per un valore complessivo di circa 700 milioni di euro. In particolare oltre 400 interventi, per circa 600 milioni di euro, sono relativi alla mitigazione del rischio idraulico e circa 180 interventi, per oltre 90 milioni di euro, sono relativi al rischio frana. Dobbiamo fare ancora di più. Abbiamo inviato al Governo un piano di ulteriori interventi da 1 miliardo di euro per la riduzione del rischio idraulico”. Inoltre, “Aspettiamo ancora risposte per la tragedia che il 2 e 3 novembre 2023 mise in ginocchio la Toscana, portando morte e devastazione”.
Anche Emiliano Fossi, deputato, segretario regionale Pd, ex sindaco Campi Bisenzio non ha mancato di sottolineare la gravità della situazione: “Un anno fa, la Toscana veniva travolta da un’alluvione che ha lasciato ferite profonde: 8 vite spezzate, danni ingenti a 10 mila aziende e 30 mila case, e perdite stimate in 2.7 miliardi di euro. Da quei giorni drammatici, la nostra Regione attende risposte concrete. Il Governo, dopo lunghe attese e promesse, ha stanziato solo risorse parziali, insufficienti per permettere una vera ripresa. Un’altra occasione mancata per prendersi cura dei territori colpiti”.
Una sottolineatura, quella di Fossi, che riguarda il vero snodo della vicenda, che i questo senso assume valore di carattere nazionale, ovvero il tema della prevenzione delle conseguenze dei disastri climatici. Un tema che ha una sola risposta, persino banale: occorre rilanciare la necessità di varare un piano statale pluriennale, libero da polemiche e speculazioni politiche, che parta dalla lunga lista degli eventi climatici estremi che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni, indicando i relativi costi economici e sociali.
Abbiamo in queste ore tutti quanti negli occhi le drammatiche immagini del disastro che ha colpito Valencia, una vera e propria catastrofe umanitaria. Le evidenze del cambiamento climatico sono ormai inconfutabili e non possiamo più considerarle un’emergenza, bensì uno stato di cose ordinario che va affrontato con un approccio costruttivo e non reattivo. E’ evidente che la situazione climatica attuale ci impone di prendere misure straordinarie e tempestive.
Per affrontare le emergenze legate all’acqua, sia in termini di alluvioni che di siccità (due facce della stessa medaglia, come insegnano i climatologi), è essenziale coinvolgere i migliori tecnici. Partendo da un think tank composto da geologi, climatologi, ingegneri idraulici e tecnici delle costruzioni. Si dovrebbe poi arrivare a una legge straordinaria nazionale per la difesa e il riassetto del territorio, con un adeguato stanziamento di fondi e un approccio bipartisan di spirito repubblicano.
La logica deve partire dall’alto della gerarchia delle fonti e seguire una strada preferenziale che vada dritta al cuore del problema: l’inadeguatezza del quadro infrastrutturale idrico e idraulico di fronte agli eventi climatici estremi, sempre più comuni. Occorre una legislazione straordinaria che possa superare le pastoie burocratiche e le sovrapposizioni degli enti, spesso responsabili di molta confusione su chi deve fare cosa. La semplificazione deve essere adeguata alla straordinarietà del problema e richiamare lo spirito della Costituente: elaborare e costituire, appunto, un Piano Straordinario Nazionale di contrasto ai disastri climatici entro la fine della legislatura. Sarà necessario uno stanziamento massiccio di fondi, attingendo anche dalle risorse del Pnrr e dai Fondi Europei di solidarietà.
È importante che i comuni facciano la loro parte, ma senza essere caricati di una responsabilità sproporzionata, data la loro spesso esigua massa critica in termini di uffici e competenze rispetto al problema. La cura dell’Appennino e della montagna è essenziale poiché quello che accade in pianura è spesso il risultato dell’abbandono del territorio montano. Ricordiamo che il nostro paese è caratterizzato prevalentemente da catene montuose come gli Appennini, dove una volta i territori erano curati. La gestione dei fiumi, dei terreni e dei boschi era una pratica comune. Oggi, molti borghi sono abbandonati a causa della scarsa dotazione di servizi e questo porta allo spopolamento del territorio con conseguenze evidenti in pianura e a valle. Immaginiamo un borgo montano che una volta era vivo e prospero, dove gli abitanti si prendevano cura delle terre circostanti, mantenendo argini e boschi. Oggi, quel borgo è deserto, e l’abbandono ha portato a problemi di erosione e inondazioni a valle. La mancanza di cura del territorio montano ha infatti conseguenze dirette sulle pianure sottostanti. La protezione delle montagne è un dovere che abbiamo verso noi stessi e verso le future generazioni. Quindi pulizia e manutenzione del territorio, dei corsi d’acqua, dei tombini, in tutte le frazioni, ma in una cornice nazionale ed europea di implementazione di nuove opere idrauliche e infrastrutturali adeguate allo stato delle cose.
Non possiamo più pensare di delegare tutto alla protezione civile il giorno dopo o al volontariato. Sono tante le associazioni che l’anno scorso hanno preso le pale e si sono recate senza sosta a Campi Bisenzio e nelle altre aree della nostra Toscana flagellate dall’alluvione. Tantissimi volontari e tra loro giovani che partivano la mattina e rientravano la sera a buio, per aiutare persone a cui servivano prima di tutto braccia e cuore. Neppure la soluzione può essere quella di rimandare cinicamente ed esclusivamente all’obbligo di coperture assicurative, una non soluzione che ricorda molto il lavarsene le mani, di Ponzio Pilato.
Occorrono tante risorse, dicevamo. Ma queste saranno largamente inferiori ai danni economici e sociali causati dai disastri climatici degli ultimi anni. Qualcuno ha provato a calcolarli: in 40 anni 210 miliardi di euro. Solo i danni che riguardano la nostra agricoltura hanno superato, nel solo 2022, i 6 miliardi di euro, pari al 10% della produzione nazionale, come ha ricordato Coldiretti. E oggi è a rischio una piccola e media impresa su quattro. La questione deve essere affrontata di petto nell’ambito della Unione Europea. Mentre assistiamo a un dibattito sullo stanziamento del 2% del prodotto interno lordo agli armamenti, circa 40 miliardi di euro solo per l’Italia, vediamo anche un drastico impoverimento delle risorse destinate ai Comuni. E intanto c’è attesa per la conferenza nondiale sul clima, Cop29, che si terrà a novembre in Azerbaigian.