6 ottobre 1924, il D-day dell’emittenza radiofonica in Italia

Da cento anni il media che non pretende nulla e che c’è sempre, senza invadere

“Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e la nostra buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari. Il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7 primo e secondo tempo”. Fu la stessa musicista Ines Viviana Donarelli a dare voce all’inedito annuncio di una trasmissione radiofonica in Italia. Il giorno precedente era stato trasmesso il primo discorso di Benito Mussolini. 

L’Uri (Unione Radiofonica Italiana) fu la prima società concessionaria della radiodiffusione in Italia. Era stata fondata il 27 agosto 1924 quando ormai tutto era pronto per le prime trasmissioni. Quattro anni dopo quella società pionieristica si trasformò in EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e nel primo dopoguerra arrivò l’attuale denominazione RAI.

Il 6 ottobre 1924 è comunque il D-day dell’emittenza radiofonica in Italia. Compie dunque cento anni, in Italia, la radio. Il media che non pretende nulla: né like, né feed, né hashtag. Ma che c’è sempre senza invadere: che connette senza intrusioni; che accompagna un viaggio senza distrarre, che intrattiene con discrezione. E che ha saputo anche rinnovarsi, se solo pensiamo alla radiovisione, che è ormai una modalità di trasmissione della radio anche sui canali televisivi via satellite o in digitale terrestre.

A questo media che rifugge l’invasività dei nuovi media e che pure ha saputo connettere milioni di persone e ha trasmesso l’immediatezza dei fatti ben prima dei social, il professor Tiziano Bonini (insieme a Marta Perrotta) docente dell’Università di Siena, ha dedicato il libro “La radio in Italia. Storia, industria, linguaggi”, uscito da pochi giorni in nuova edizione edito da Carocci. Al professor Bonini abbiamo posto alcune domande per risalire alle radici della radio e delineare i tratti del futuro.

Professor Bonini, qual è stata l’importanza della prima trasmissione radiofonica nella storia della comunicazione di massa? Come ha influenzato la società di quel tempo e quali furono le reazioni iniziali del pubblico?

“Chiaramente la prima trasmissione radiofonica segna un momento di passaggio epocale perché per la prima volta nella storia un messaggio poteva raggiungere enormi masse di persone “in tempo reale”. Nella realtà dei fatti però, quando questa prima trasmissione va in onda, sono pochi i cittadini italiani che all’epoca possedevano un apparecchio radiofonico, un dispositivo allora molto costoso. Quindi l’influenza di quell’iniziale trasmissione fu molto limitata e di sicuro non arrivò alle classi popolari”.

Qual è stato il ruolo della radio durante periodi storici cruciali, come le guerre mondiali, l’affermarsi di regimi dittatoriali come il nazismo o il dopoguerra? In che modo la radio ha influenzato la propaganda, l’informazione e la cultura durante questi momenti?

“Mi verrebbe da ribaltare la sua domanda: in che modo la propaganda, l’informazione e la cultura hanno influenzato la radio? Cioè, la radio è un mezzo che è stato impiegato da diversi attori sociali per divulgare informazione, cultura e anche messaggi propagandistici durante momenti chiave della storia. Durante la Seconda guerra mondiale ha avuto un ruolo centrale per tutti coloro che si opponevano al regime nazi-fascista e che trovavano in Radio Londra un’alternativa alla radio di regime. Allo stesso tempo, in Germania la radio era stata messa al centro di un decennale progetto di propaganda, molto efficace, grazie alla diffusione capillare di radio economiche nelle case, mentre in Italia è solo negli anni ’30 che l’uso della radio inizia ad essere propriamente “di massa”. Ma la propaganda non funzionava molto, visto che nel 1939 il primo Referendum sull’ascolto radiofonico degli italiani, promosso dalla stessa EIAR, l’ente radiofonico italiano controllato dal regime, aveva dato risultati molto deludenti sull’efficacia della strategia comunicativa politica del regime. I risultati, infatti, non vennero mai resi pubblici”.

Come ha cambiato la radio il panorama dei media e delle comunicazioni di massa?

“Ha trasformato il modo di fare informazione, facendo informazione in tempo reale e sottraendo quindi alla stampa il primato dell’informazione sui fatti di cronaca. Ha introdotto il dialogo telefonico con l’ascoltatore, è stato il primo medium “user-generated”, con l’arrivo delle radio pirata e comunitarie degli anni ’70”.

Quali sono stati i momenti storici più significativi trasmessi in diretta radiofonica? C’è un evento o una trasmissione giornalistica radiofonica che ha segnato un prima e un dopo nella storia del medium?

“Ce ne sono molte, dalla Liberazione, all’alluvione di Firenze trasmessa in diretta dalla sede Rai di Firenze, alla nascita di Tutto il Calcio minuto per minuto. Ma sono i fatti storici a fare la storia della radio, non il contrario. La radio è sempre stata presente di fronte ai grandi avvenimenti del Novecento, prima ancora che arrivassero le telecamere”.

“See it now”, la trasmissione di Edward R. Murrow degli anni Cinquanta, “Tutto il calcio minuto per minuto”, “Alto gradimento”: tre esempi di trasmissione radiofonica ad alto indice di ascolto, in cui la rilevanza del contenuto bastava per sopperire al supporto delle immagini. Oggi è ancora possibile?

“Certo. Esistono trasmissioni durature, come Caterpillar su Radio Due, o Deejay chiama Italia, e altre che hanno una tenuta trentennale. La radio si ascolta soprattutto in mobilità, ma la capacità di raccontare con il suono di una voce è ancora intatta”.

Che ruolo ha giocato la radio nella diffusione della cultura musicale e dell’intrattenimento? Può parlare dell’influenza della radio nella promozione di nuovi generi musicali e artisti?

“In Italia il fenomeno delle radio libere degli anni ’70 ha influenzato moltissimo la cultura musicale, trasmettendo tutta una serie di generi che all’epoca trovavano poco spazio in RAI, come il jazz, il prog-rock, il punk, il pop-rock, la musica black. Ma anche i primi network commerciali degli anni ’80 hanno contribuito a rendere popolari altri generi musicali alla periferia del rock, come la new wave. La stessa RAI ha poi prodotto trasmissioni musicali storiche, soprattutto in fasce orarie notturne, che dagli anni ’80 hanno contribuito a lanciare nuovi generi musicali. Anche gli artisti italiani hanno beneficiato moltissimo ad esempio da Radio Italia solo musica italiana. A lungo la popolarità di un artista è dipesa quasi solo dalla radio. Oggi è diverso. Esistono artisti molto popolari che non passano in radio ma sui social e le piattaforme di streaming. La radio oggi è solo uno dei mezzi, non più quello dominante, nella promozione di una cultura musicale”.

La transizione dai programmi radiofonici a quelli televisivi ha avuto un impatto sulle tecniche narrative o sui contenuti?

“Non molto. I generi radiofonici sono rimasti intatti. Al massimo vediamo oggi che molti personaggi televisivi tornano alla radio portando con sé la propria popolarità”.

Come vede il rapporto tra radio tradizionale e radio online? Pensa che la radio tradizionale continuerà ad esistere o verrà completamente sostituita dalle versioni digitali?

“Le radio online non rappresentano un pericolo per la radio tradizionale, ma una possibilità per raggiungere nuovi pubblici. Semmai il pericolo è rappresentato da altri media, come le piattaforme di streaming o i podcast prodotti da altri editori”.

Tra tecnologia, cambiamenti delle abitudini di consumo e concorrenza di nuovi media, qual è il futuro della radio in un mondo sempre più dominato da internet e streaming? Può la radio restare rilevante nell’era dei podcast, dei social e delle piattaforme digitali?

“La risposta sta nel presente: la radio continua ad essere rilevante in questo mutato panorama tecnologico, lo dicono i dati di ascolto e di investimento economico sul mezzo. Quella che cambia è la demografia dell’ascolto, sempre più adulta, oltre a cambiare l’ascolto, sempre più frammentato in diversi momenti della giornata. Ma i podcast possono rappresentare un’opportunità, per estendere il bacino di ascolto ad altri pubblici. Gli editori di radio devono anche diventare editori di podcast, e questo ormai direi che lo stanno facendo un po’ tutti i maggiori editori italiani, anche se con un po’ di ritardo”.

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