Lodovico Grassi, giovanissimo, è stato fra i fondatori di «Testimonianze», insieme e accanto a Ernesto Balducci (con loro, anche Mario Gozzini e Federigo Setti). Dopo Danilo Zolo e Luciano Martini, Grassi, scomparso nel 2018, è stato direttore della rivista per 14 anni. Una figura importante, il cui percorso umano e politico-culturale viene ricordato con un quaderno speciale della rivista e un incontro che si terrà a Firenze alle Murate, alla Sala «Wanda Pasquini» (in Piazza Madonna della neve, a partire dalle 17.30). Ne parliamo con Severino Saccardi che è stato il suo successore alla guida della rivista.
Che significato ebbe, nel contesto in cui avvenne, la fondazione di «Testimonianze»?
Avvenne ormai molti anni fa. Era il 1958. In un tempo segnato da contrapposizioni e da barriere politiche e ideologiche, «Testimonianze» nacque, distinguendosi dall’arroccamento che caratterizzava tanta parte del «mondo cattolico, come strumento della cultura del dialogo. Non era un segnale da poco. Lodovico, come dicevo, fu partecipe di questa decisione e di questo atto. Era molto giovane, come ricordavo prima. Se non sbaglio, aveva solo ventidue anni. Ma era colto, preparato e motivato, caratteristiche che manterrà tutta la vita.
Lodovico Grassi era un uomo di fede…
Questo è indiscutibile. Era un fermo e convinto credente. Se si prescinde da questo dato, non si capisce granché della sua storia. Come, in modo analogo, si rischia di fraintendere il percorso e il messaggio di personalità come Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani ed Ernesto Balducci, a cui Lodovico è sempre stato molto vicino e molto legato. Ma, intendiamoci, la fede, dal suo punto di vista, non doveva certo portare a chiudersi entro un recinto e non era da assumere come una sorta di vessillo ideologico, da contrapporre agli altri. La fede, come insegna il Vangelo, era per lui seme e lievito. Questo è in linea anche con l’impostazione della rivista che egli ha contribuito a fondare e che poi ha diretto. Fin dal titolo della testata, si ricorda che il cristianesimo ha da essere vissuto come testimonianza e non come espressione di strutture di potere.
Fede e laicità, dunque!
Lei ha centrato la questione. Per Lodovico Grassi, come per Balducci, la fede non è in contraddizione con la laicità, anzi. Il cristiano dovrebbe essere il primo ad assumere e a difendere la distinzione di piani fra la sfera religiosa e quella politica, giuridica e civile. Questo non vuol dire, evidentemente, che i temi religiosi e le religioni (al plurale) non debbano avere uno spazio e un rilievo anche nello spazio pubblico all’interno di una società costruita all’insegna del pluralismo e della democrazia. Ma qui il discorso si farebbe molto complesso. Limitiamoci a rilevare che alla laicità, Lodovico Grassi ha sempre creduto e tenuto molto. Come risulta anche dai suoi scritti ripubblicati nel volumetto Pensieri di pace. Antologia di testi (e un ricordo) di Lodovico Grassi (curato da Maurizio Bassetti e dal sottoscritto), che «Testimonianze» gli ha dedicato. Ne risulta anche (come era evidente a chi lo conosceva) che aveva una forte preparazione e una bella conoscenza della cultura teologica.
Di lui si ricorda, appunto, che era un uomo molto colto. Lo conferma?
La sua preparazione culturale era diventata quasi una leggenda. Era sempre prodigo di buoni consigli di lettura. E la lettura e lo studio erano per lui nutrimento quotidiano. Ma la cultura non veniva da lui intesa come supponente (e un po’ respingente) erudizione. Al contrario. La cultura era uno strumento per capire il mondo e per individuare possibili strumenti per cambiarlo. Questa convinzione, del resto, pur nella diversità delle loro esperienze, contraddistingueva e accomunava anche Ernesto Balducci e don Milani.
Che cosa può dirci del suo modo di intendere e vivere la direzione della rivista?
Questo è un tema che si lega a quanto dicevamo prima. Il credente Lodovico Grassi fu un consapevole artefice della marcatura ulteriore dell’identità laica della redazione della rivista. Allargò molto la redazione, valorizzò giovani e competenze. E con lui la rivista, come poi sarebbe stato sempre più evidente, pur rimanendo legata alla sua radice e matrice cristiana, sarebbe stata sempre più costruita insieme da credenti e non credenti.
Ci parli dell’impegno civile si Lodovico Grassi.
R. Viveva i temi dell’impegno civile e politico con grande passione. E con invidiabile preparazione. Era (come lettore avido di giornali e riviste) sempre informatissimo. E va ricordato (come non mancheremo di fare nell’incontro a lui dedicato) che non è stato solo direttore di «Testimonianze». In politica si è impegnato e si è speso. Fu candidato alle elezioni europee ed ebbe buoni consensi, anche se non sufficienti a farlo eleggere. Ma fu eletto consigliere comunale a Firenze e fece parte, con spirito di iniziativa notevole, della Commissione Pace. Nel volumetto è riportato un suo intervento in cui egli sostiene che una città-simbolo come Firenze dovrebbe puntare sul dado della pace.
Il volumetto si intitola, appunto, Pensieri di pace. Ce ne vuole parlare?
La cultura della pace era il grande tema a cui egli ha dedicato impegno, riflessioni ed energie. Ha anche affiancato Balducci nell’avventura editoriale delle Edizioni Cultura della Pace. Con Ernesto Balducci firmò il (bel) libro La pace. Realismo di un’utopia (che, lo ricordo, fu presentato da Pietro Ingrao. Scrisse anche, per le ECP, un volume intitolato La democrazia dell’era atomica. D’altra parte, nel periodo della sua direzione, «Testimonianze» promosse i partecipatissimi convegni del ciclo Se vuoi la pace prepara la pace.
Una grande stagione, no?
Non c’è dubbio. I Convegni di «Testimonianze» (alla cui preparazione, gestione e animazione lavorammo insieme) non propugnavano una sorta di pacifismo generico. Declinarono il tema pace in relazione a tante questioni di fondo che alla pace danno fondamento: la definizione di un nuovo rapporto fra Nord e Sud del mondo, i diritti umani, il dialogo con il pacifismo indipendente e il dissenso dell’Est europeo, il ruolo della «diplomazia dal basso» delle città. Era un tempo particolarissimo, quello degli anni Ottanta. C’erano i (forti) movimenti per la pace e il disarmo, mentre le convulsioni della storia preparavano la svolta epocale dell’Ottantanove. Quante discussioni appassionate con Lodovico. Non solo nei gruppi di lavoro o in redazione o nella discussione dell’impostazione della rivista. Era una sorta di fervore costante. Discutevamo mentre si prendeva il caffè, si passeggiava, si discorreva nello studio di casa sua. Quello di essere stato suo interlocutore in tanti di quei momenti è un grato e importante ricordo che custodisco e che porto con me.
Grassi ha avuto anche un ruolo nella Fondazione Balducci, se non sbaglio, vero?
Non sbaglia affatto. Lodovico è stato tra coloro che, dopo la scomparsa di Balducci, hanno lavorato a costruire la Fondazione che ne porta il nome. Va anche ricordato che è sempre stato molto presente all’interno delle attività, in occasione degli eventi e all’interno della rete di relazioni della comunità della Badia Fiesolana.
Quando poi ha lasciato la direzione di «Testimonianze», Lodovico Grassi ha continuato a collaborare con la rivista.
È rimasto nel ruolo di direttore emerito. Abbiamo continuato a scambiarci opinioni e a discutere. Era sempre importante ed esigente, il suo punto di vista. Con la rivista ha collaborato in momenti significativi e in passaggi importanti. Come quando, insieme, abbiamo progettato e curato le sezioni monotematiche di volumi dedicati a figure che egli amava, come Simone Weil (Simone Weil, testimone mistica della storia) e Dietrich Bonhoeffer o a un tema come Immagini della Resurrezione per gli uomini e le donne degli anni duemila.
Ci parli del suo tratto umano.
Era il tratto che più lo distingueva, la sua grande umanità. Il suo sorriso, la faccia aperta, la disponibilità allo scherzo, all’umorismo e alla battuta ironica. Caratteristiche che (come raccontano i suoi ex studenti) lo faceva amare anche come insegnante. La sua apertura all’altro, la curiosità, l’amore per la conversazione colta e per quella leggera erano elementi che lo distinguevano. Ha dato e saputo insegnare molto a chi gli è stato vicino.
Una domanda personale: come vi siete conosciuti?
Ci siamo incontrati la prima volta, nel lontano 1972, a Borgatello, un piccolo borgo, per l’appunto, collocato fra le colline di Colle Val D’Elsa e quelle di San Gimignano, dove era parroco don Auro Giubbolini, una figura che meriterebbe di essere ricordata: già compagno di seminario di don Milani, animatore egli stesso di un piccolo doposcuola, era un «prete di frontiera», in collegamento con le Comunità di base. Da lui, nella sua piccola parrocchia, passavano visitatori interessanti (come Alex Langer). Don Auro, nella sua semplicità e radicalità, era riuscito a rimanere inviso sia alla Curia sia al potente PCI locale, che mal sopportava la sua vicinanza al Collettivo Operaio (vicino alla sinistra extraparlamentare) di Colle Val d’Elsa. Ebbene, Lodovico (quando ci siamo visti la prima volta) era da don Auro per prendersi una buona damigiana di vino. Della conversazione che è seguita ho avuto già modo, altrove, di raccontare. Ma vale la pena di ricordarla. Era bel tempo. Lodovico ed io andammo a sederci all’ombra di un noce. E cominciò a parlare. Mi raccontò l’aneddoto di Giorgio La Pira in visita a Budapest. Là Pira che a Budapest incontra il grande filosofo marxista György Lukács e che, per rendersi interessante, parla di questione sociale e di ruolo della classe operaia. Ma Lukács si annoiava, quasi era portato a sbadigliare. Allora La Pira toccò un tema che era più nelle sue corde. Disse: «E se Cristo è davvero risorto…». Lukács ebbe un guizzo, i suoi occhi si accesero, sobbalzò sulla sedia ed esclamò: «Ecco un tema che mi interessa!». E Lodovico sottolineò il passaggio con un sorriso allegro e sornione. Capii all’istante che il racconto di quell’aneddoto molto diceva non tanto di La Pira e di Lukács quanto della persona che avevo di fronte, che stavo imparando a conoscere e che ho avuto la sorte privilegiata di avere come amico e come «compagno di viaggio».
In foto Lodovico Grassi