La difficile arte di essere “cittadini del mondo”

Il pianeta vive la sua unificazione proprio mentre rischia la disgregazione

La realtà contemporanea è segnata da una evidente contraddizione: si è, di fatto, «cittadini del mondo» in un pianeta caratterizzato dall’interdipendenza dell’economia e delle relazioni umane e segnato, tuttavia, dal rinascere di conflitti, contrapposizioni violente ed istanze identitarie. Una situazione in cui è fondamentale riscoprire la lezione di pensatori come Ernesto Balducci ed Edgar Morin, che indicano la via per la costruzione di una vera civiltà planetaria.

Se manca la «globalizzazione dei diritti»

Sembra ancora un’utopia la «globalizzazione dei diritti», anche se la forza e il carattere incisivo delle informazioni e della comunicazione (che servono a far conoscere violazioni della dignità della persona e battaglie dei popoli per la libertà) sembrerebbero, in questo ambito, di valido aiuto. E lo sono, certamente. Ma la realtà è ben più controversa e complicata. È vero che complessivamente è aumentata, nel mondo la consapevolezza dell’importanza dei diritti umani e, a parole, anche nelle dichiarazioni ufficiali del potere, alle più diverse latitudini, si rende formalmente omaggio ai principi della Dichiarazione Universale del 1948. Nondimeno, a livello internazionale, le violazioni dei diritti medesimi sono, in maniera preoccupante, assai estese.

C’è anche da dire, peraltro, che la stessa tendenza, apparentemente incontrastata, all’ interdipendenza fra i diversi comparti del pianeta ha subito imprevedibili controspinte ed ha registrato, in apparenza, perfino uno «stop». Così è stato durante la grande crisi della pandemia.  Quando, in tutta evidenza, un prodotto perverso dell’interconnessione delle relazioni internazionali (che ha favorito la rapida diffusione del virus) ha prodotto la chiusura delle frontiere, la sospensione dei viaggi e il provvisorio ritorno sulla scena degli stati nazionali (che puntavano a tutelarsi ognuno per suo conto). Ci siamo chiesti, perfino, se la globalizzazione fosse finita.

Una domanda a cui rapidamente ci si è trovati a rispondere (incalzati da evidenze come la scoperta e la diffusione internazionale del vaccino anti-covid) che la globalizzazione, no, non era finita. Era viva e vegeta, ma sembrava essere rinata, per così dire, sotto un segno diverso.  Come se Il mondo si fosse fatto più piccolo e più stretto. E sia pure in un quadro complessivo di inscindibili relazioni globali, rinascono particolarismi e spinte identitarie e si fa di nuovo forte la tendenza a riproporre l’idea della «sovranità assoluta» degli stati .Che è foriera di contrapposizioni e di conflitti. E infatti, in un quadro certo già caratterizzato da una «guerra mondiale a pezzi» (secondo papa Francesco), la guerra è ritornata anche in Europa (fuori però dal perimetro dell’Unione Europea che, affermando la «sovranità relativa» degli stati membri ha garantito decenni di pace). E c’è anche, tuttora in corso, la devastante crisi del Medio Oriente. Non sono eventi che succedono a caso. È in corso una drammatica contesa per il cambiamento degli equilibri geopolitici del mondo. I contendenti (con tutte le distinzioni interne ai diversi campi di appartenenza) sono ben identificabili: di qua gli Stati Uniti e l’Europa; di là, Russia, Cina e non pochi Paesi del cosiddetto «Sud globale».

Viviamo su un crinale

Ci troviamo su un crinale. Il «mondo globale» vive, dunque, la sua unificazione (sul piano dell’economia, delle comunicazioni, dei movimenti di popolazione…) proprio mentre rischia la disgregazione. Una sorta di contraddittoria, ed esplosiva, «unificazione conflittuale». Uno scenario assai lontano, se non del tutto opposto, si direbbe, rispetto a quello che è stato auspicato da Ernesto Balducci (con il suo uomo planetario) e da Edgar Morin, che ha parlato di Terra patria. Oggi, a quel che pare, i «cittadini del mondo», uniti da una comunità di destino, rischiano di ritrovarsi avviluppati in dinamiche divisive legate alla riproposizione dell’eterno schema «amico-nemico», oggi proiettato su scala globale.

Eppure, forse, proprio per questo, ripensare il senso profondo di una certa visione della civiltà planetaria (come l’hanno intesa e insegnata, appunto, pensatori come Balducci e Morin) è tutt’altro che inattuale. Anzi, è più che mai necessario. C’è bisogno di un soprassalto della politica, che ha da affrontare questioni di fondo. Quali prospettive possono delinearsi, per esempio, per il domani dell’Unione Europea? E il riposizionamento del «Sud globale» (che è forse, davvero, all’ordine del giorno) sotto quale segno avverrà (quello di una crescente democratizzazione, oppure quello di un’affermazione dei modelli autoritari e autocratici)?  E quali chances potranno avere percorsi di pace, capaci di porre fine ai conflitti attuali e, magari, di definire assetti del mondo più rispettosi di diritti umani e autodeterminazione dei popoli?

Domande che implicano non solo una nuova consapevolezza della politica, ma anche un percorso di carattere culturale all’altezza delle sfide dei tempi. Una nuova paideia per un mondo inquieto.  È pensando a questo che, in occasione del centenario dell’Università di Firenze, ci è sembrato appropriato portare avanti un Progetto su Cultura della pace e cittadinanza globale. Ha ragione, infatti, Mauro Ceruti, quando delinea il salto storico che si è verificato con il passaggio dalla città dell’umanesimo alla «città pianeta».È la dimensione cui si riferiscono all’interno dell’Università medesima, i docenti impegnati con gli studenti di uno specifico Corso di laurea, a concentrare la loro attenzione sui temi della pace e diritti umani nel mondo contemporaneo. Non è una riflessione che parte da zero. Firenze è città che ha conosciuto personalità che (nell’Università e fuori) hanno fornito un grande contributo al cammino della cultura del dialogo e della convivenza. Ripensare, in spirito di libertà, anche al loro insegnamento contribuisce a rafforzare la speranza in un futuro in cui, a pieno titolo e per davvero, ci possiamo dire a pieno titolo «cittadini del mondo».

Il testo è una ampia sintesi dell’articolo apparso sulla rivista Testimonianze n. 555-556 “Nell’età dei cittadini del mondo” della quale Severino Saccardi è direttore.

In foto Edgar Morin

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