La giustizia a orologeria. Questa volta non si tratta di avvisi di garanzia o sentenze, stavolta l’orologio l’ha puntato il governo, licenziando la riforma sulla separazione delle carriere il 29 maggio, come già previsto e annunciato. Ora il disegno di legge è sul tavolo del presidente della Repubblica, per poi cominciare il suo iter parlamentare. Ma era il primo passo quello essenziale. Tempistica perfetta, a dieci giorni dalle europee e 15 giorni prima dell’anniversario della morte di Silvio Berlusconi. Un evento, con sceneggiatura magniloquente a cura di Forza Italia, il partito protagonista di questo passaggio. Degni eredi del fondatore, i suoi ‘azzurri’ non hanno trascurato nessun particolare di marketing e comunicazione, a partire dal pressing sul governo perché si sbrigasse a portare a casa prima delle urne qualche risultato sulla loro riforma-bandiera, l’ultima a planare sui tavoli dei palazzi istituzionali.
Con lo scopo comune di trasferire la nostra Costituzione in un altro pianeta, la Lega conduce i giochi alla Camera sull’autonomia differenziata; Fdi al Senato sul premierato e Forza Italia fa uscire da Palazzo Chigi la ‘riforma epocale’ coltivata nei giardini di Arcore e sbocciata nelle stanze del governo dieci anni dopo.
E allora, il 28 maggio sera il ministro della Giustizia Carlo Nordio con il sottosegretario Alfredo Mantovano vanno al Quirinale a sottoporre il testo della riforma al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sperando che dia una mano su qualche punto di vista ancora discordante. Un incontro informale che doveva rimanere riservato ma qualche spiffero c’è stato e si intuisce che non tutto fili proprio liscio. Lo conferma la riunione last minute del giorno dopo che sembra però risolutiva e il Consiglio dei ministri in venti minuti licenzia il testo. Unanimità e applausi.
Poche novità rispetto a quanto già era noto. Viene modificato l’art. 104 della Costituzione che, in premessa, ribadisce l’indipendenza della magistratura, e poi separa “i magistrati della carriera giudicante” da quelli “della carriera requirente”. Si aggiunge il conseguente sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura. Entrambi i Csm sono presieduti dal presidente della Repubblica e ne fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione. Infine c’è la novità del sorteggio con cui si eleggono tutti i membri del Csm, compresi i laici. Restano da capire i criteri con cui si selezionano i componenti da sorteggiare. C’è poi la vera novità, salta la sezione disciplinare del Csm e si crea un’Alta Corte che giudicherà i magistrati, fatta anche questa da togati e laici estratti a sorte.
Insomma, se tutto in va in porto, passeremo da un solo organismo di autogoverno della magistratura a tre. Una bella rivoluzione, anche se lo stesso sottosegretario Alfredo Mantovano ha ricordato che si tratta di un ddl costituzionale quindi i tempi dell’approvazione definitiva saranno lunghi e, ha aggiunto, “il testo non è blindato e il referendum si può evitare”.
E’ l’unica dichiarazione tecnica e misurata della giornata. Per il resto è solo una nuova epopea di Silvio Berlusconi nel nome della separazione delle carriere. Non c’è parlamentare o militante di Forza Italia che non dedichi l’ ‘evento’ e non faccia correre il ‘pensiero’ al leader che fece della riforma della giustizia la sua battaglia della vita e che in vita ritorna glorificato per l’occasione. Più che analisi di merito si sprecano gli aggettivi, ‘storico’ su tutti: è ’storico’ il passaggio, l’obiettivo, il risultato, il successo; è ‘storica’ la riforma, la giornata, la battaglia, la vittoria.
Anche il ministro Carlo Nordio si lascia andare, pur garantendo ogni “ossequio” all’indipendenza della magistratura, ma aggiunge: “Vedete, la magistratura non può e non deve essere indipendente soltanto dal potere esecutivo e dal potere legislativo, deve essere indipendente anche da se stessa”.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni spreca aggettivi come i suoi alleati di governo, pur senza nominare Berlusconi: “E’ una riforma giusta, necessaria, storica, attesa da decenni. In molti hanno detto e scritto in questi mesi che noi non avremmo mai avuto il coraggio di presentarla. Evidentemente ancora non conoscono la nostra determinazione. Varare questa riforma dopo 30 anni che se ne parla è un risultato epocale”.
Ed “epocale” è il cambiamento per la ministra Elisabetta Casellati impegnata direttamente sull’altro fronte di battaglia, quello del premierato. “Un’altra prova di coesione. Per Forza Italia il coronamento di una battaglia lunga trent’anni e del grande sogno di Silvio Berlusconi: una giustizia giusta per il suo Paese”. “Epocale” sì, ma “perché non era possibile farla peggio di così” è il controcanto di David Ermini, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
Insomma, questi i toni che accompagnano la prima uscita della riforma, cui i detrattori rispondono con un corrispettivo di allarmismo apocalittico. Ecco i parlamentari del M5S nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato: “Si completa il progetto di demolizione del nostro assetto democratico previsto nella Costituzione. Il disegno del centrodestra è quello di estendere l’influenza della politica sui Pm e ridurre i magistrati a meri funzionari esecutori, come dimostra la proposta del sorteggio integrale. Avremo quindi definitivamente una giustizia debole con i forti e spietata con i deboli”. Stessi toni dal Pd: “Assistiamo ad un intervento che, insieme agli altri su autonomia differenziata e premierato, conduce allo smantellamento del sistema istituzionale repubblicano che affonda le radici nella nostra Costituzione ed è sempre stato basato su separazione ed equilibrio dei poteri”.
Allarmismo che mobilita anche i diretti interessati: l’Associazione nazionale magistrati ha convocato un Comitato direttivo centrale di urgenza che si terrà il 15 giugno “per assumere nuove iniziative in merito all’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge costituzionale”. Definito “una sconfitta per la giustizia, significa dar più potere alla maggioranza politica di turno, danneggiando innanzitutto i cittadini, con la chiara intenzione di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica”. Cioè, mentre per i sostenitori della Riforma il pm deve dare del ‘lei’ e non del ‘tu’ al giudice, i magistrati temono che alla fine quel ‘tu’ il pm lo debba riservare al politico.
Gli avvocati, invece, pur rammaricati che non è stato accolto il loro appello a inserire in Costituzione il ruolo della Difesa, considerano giusta la strada intrapresa dal governo, come dice il coordinatore dell’Ocf (Organismo congressuale forense) Mario Scialla.
Questo è il clima politico con cui si arriva all’appuntamento elettorale delle europee, in cui si sente parlare più di Berlusconi che di Europa. L’attuale leader di Forza Italia e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che corre come capolista in quattro circoscrizioni ha seminato il paese di manifesti elettorali dove il redivivo Cavaliere gli alza sorridente la mano.
Il governo Meloni ha fatto di più alzandogli la palla della riforma della giustizia che finalmente può arrivare in rete.
In foto il Consiglio Superiore della Magistratura