Sempre appassionante è il viaggio dentro la creatività di un artista, tanto più quando è lui stesso che rivela la sua storia interiore, il germinare delle sue idee, la loro gestazione e il percorso della loro realizzazione sulla scena.
Tutto questo ci ha offerto Jérôme Bel , il coreografo francese, oggi sessantenne, che ha realizzato una sorta di conferenza spettacolo nella forma di quello che ha chiamato auto-bio-coreo-grafica nella quale ragiona sulle performance che ha realizzato nel corso di una vita dedicata alla danza e al suo ruolo nella società per far crescere individui liberi e responsabili contro le imposizioni di ogni genere, vengano esse dalla tradizione, dalle convenzioni o dal mercato.
Il percorso di formazione di un “coreografo, di un cittadino, di una persona, di un ecologista” è stato presentato a Cango nell’ambito della rassegna “la Democrazia del corpo”, ideata e diretta da Virgilio Sieni in uno spettacolo che porta il titolo del protagonista, nel quale il racconto in prima persona “sono Jérôme Bel” è affidato a un interprete che in Italia è Marco Mazzoni che lo tradotto e messo in scena.
Ecologista radicale Bel, infatti, ha deciso di non viaggiare più per non contribuire all’inquinamento dell’ambiente, vietando ai teatri nei quali viene allestito il suo spettacolo di usare in un qualunque modo la carta.
L’artista racconta del suo desiderio di dedicarsi alla danza grazie anche all’influenza delle coreografie di Pina Bausch. Ha danzato nelle compagnie europee fino al 1991 prima di dedicarsi all’arte coreografica con l’obiettivo di sfidare le convenzioni e tabù. La sua prima performance “Nome dato dall’autore” è una dissacrazione del consumismo con gli oggetti che perdono la loro funzione per diventare forme d’arte . Nel 1995 il pezzo intitolato con il suo nome è basato sulla totale nudità dei danzatori, con un impatto choc sul pubblico che abbandonava in massa la sala. Poi ancora Shirtology (1997) terza tappa di quel percorso concettuale definito da lui sulle orme di Roland Barthes il “grado zero della danza”.
Qui è un ballerino che indossa tante T-Shirt i cui disegni e messaggi diventano ordini perentori da eseguire meccanicamente. Poi ancora “The show must go on” (2001) dove si crea un antagonismo fra performer e pubblico, concedendo pochissimo, e con atteggiamenti di sfida, a ciò che si attendono. Eccezionale nel 2004 una contestazione al “sistema gerarchico dell’arte” nel pezzo creato per la Paris Opera, nel quale una danzatrice della Compagnia di Ballo, Véronique Douisneau danza le parti del coro nel Lago dei Cigni, create per valorizzare le étoiles. Immobilità e pochi passi in una delle situazioni più frustranti per le danzatrici.
Poi ancora le performance create per la compagnia di danza Hora formata da professionisti con disabilità mentale (Disabled Thater, 2012) , quelle per ballerini dilettanti delle banlieu parigine, Isadora Duncan (2019) fino a Jérôme Bel, la conferenza-spettacolo presentata al Cango.
Su un grande schermo Mazzoni-Bel ha fatto scorrere i video delle performance che “riattiva la memoria di gesti, partiture e fatti biografici che il discorso collega tra loro”, in un racconto di due ore, durata insolita per uno spettacolo di danza, ma che ha tenuto attenti e partecipativi gli spettatori coinvolti in un racconto biografico e artistico quale raramente viene loro offerto. Non è frequente entrare nelle radici più profonde del processo creativo, del concepimento dell’idea che è l’unico momento in cui il coreografo è in pace con se stesso.
In foto Jérôme Bel (ph. Herman Sorgeloos)