Il 3 giugno 1924 si spegne all’età di 40 anni Franz Kafka, malato ormai da 7 anni di tubercolosi. Per ricordare la sua eredità, circa 20 enti culturali europei, tra i quali il “Deutsches Kulturforum Östliches Europa” e la “Literaturhaus Stuttgart”, sotto gli auspici del Ministero della Cultura Ceco hanno organizzato il festival “Kafka2024” che si estenderà su tutto l’anno solare (https://kafka2024.de/en). Pièces teatrali, proiezioni cinematografiche, fumetti e molto altro da Amburgo a Merano per ricordare e celebrare l’autore de “La Metamorfosi”, “Il Processo” e della “Lettera al padre”.
Festeggiato dai ben 28 “Centri Cechi” (“Česká Centra”), istituti culturali cechi che fanno capo al Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Ceca, sparsi su 4 continenti, Kafka è ugualmente al centro del progetto “Kafka Onleihe” del Goethe Institut, una biblioteca digitale “OpenAccess” che propone gratuitamente letture scelte di Kafka in versioni multilingue e multimediale (audio-libri, ma anche dissertazioni e molto altro) in formato digitale (https://www.goethe.de/ins/it/it/kul/lit/k24/25429291.html). Il “Literaturhaus” di Salisburgo ha da parte sua inaugurato la mostra “Komplett Kafka” con i fumetti dell’austriaco Nicolas Mahler sullo scrittore (https://www.literaturhaus-salzburg.at/veranstaltungen/komplett-kafka/).
Le iniziative pluri-statali tedesche, ceche ed austriache pongono sotto i riflettori l’identità intrinsecamente “mitteleuropea” dello scrittore: non dunque scrittore nazionale ceco, ma appartenente a quella frontiera porosa che nel 1914 racchiude una moltitudine di imperi e spazi culturali dell’Europa centrale (Francesco Giuseppe regnava su 12 attuali Stati nazionali!) e che media tra Germania e Russia. All’interno di questa “Mitteleuropa” dai confini indefiniti, Kafka si inserisce nella minoranza tedescofona ebraica di Praga, città, che con le sue 200 librerie e 20 caffè è stata classificata nel 2014 “Creative City of Literature” (“città creativa della letteratura”) dall’UNESCO.
Tale “identità di frontiera” dello scrittore è esplicitata in particolare dal tedesco utilizzato da Kafka: i numerosi boemismi, quali “Schmetten” (dal ceco “smetana” “panna acida”, in tedesco standard “Sauersahne”) e “Pawlatsche” (dal ceco “pavlać” “porticato”, in tedesco standard “Laubengang”), testimoniano le radici praghesi. Il tedesco utilizzato nei tribunali de “Il Castello” mima invece (con una certa ironia) il “burocratese” delle cancellerie austroungariche e lo yiddish, anche se non esplicitamente presente nelle opere letterarie, è oggetto d’analisi del “Discorso introduttivo sul gergo” (“Einleitungsvortrag über Jargon”) redatto da Kafka stesso nel 1912, dover per “gergo” si intende, come ricorda Mauro Nervi nell’articolo «Jargon ist alles». Kafka e la lingua jiddisch pubblicato nel 1992 sulla rivista Studi Germanici, lo yiddish con una sfumatura però fortemente denigratoria.
Per quanto riguarda la lingua di Kafka è infine importante ricordare che fino alla metà del ‘900 Kafka, censurato in lingua originale prima dalle autorità naziste e poi comuniste, era conosciuto al pubblico europeo soltanto in traduzione. Così come gli aggettivi letterari “pirandelliano” e “donchisciottesco”, anche “kafkiano” è entrato a far parte delle conversazioni quotidiane, con le prime apparizioni negli anni ’40-’50.
Che cosa si intende però con una situazione “kafkiana”? Si tratta di situazioni angoscianti provocate dalla condanna di istanze superiori (spesso burocratico-giudiziarie) davanti alle quali l’individuo è impotente. Le colpe negli scritti kafkiani sono spesso assurde e si radicano in una “Ur-colpa” biblica, originaria e a priori, di cui tutti gli esseri umani macchiati. La Legge, “un’autorità” onnipotente, imperscrutabile e disumana dispensa solo giustizia punitiva ed è rappresentata da giudici incompetenti e fantomatici (scorti a tratti dai buchi delle serrature ne “Il castello”).
Le spazializzazioni sono ugualmente inquietanti: i tribunali kafkiani sono veri e propri labirinti che si ergono in un “limbo” immaginario. Il tribunale diventa quindi il luogo della violenza burocratica che schiaccia l’individuo: i personaggi, chiamati spesso solo con l’iniziale del nome o del cognome (ex. Joseph K. ne “Il processo”) sono mere schede burocratiche, espropriati del proprio nome e depersonalizzati, anonimizzati. I processi sono pure farse.
La realtà giudiziaria kafkiana nella sua distopia pare anticipare tristemente certe dinamiche delle purghe staliniane quali il “sospetto generalizzato”, aspetto della scrittura kafkiana chiaramente identificato da Kundera, e dell’Olocausto, quali la logica sadico-vessatoria e il “burocratismo” deresponsabilizzante (“Ho eseguito gli ordini” dichiara Eichmann nel processo a Gerusalemme nel 1965).
Questo centenario potrebbe quindi invitarci, oltre che a (ri)scoprire negli scritti kafkiani grandi temi come la possibilità di un’identità multipla e della giustizia arbitraria e ingiusta, a (ri)guardare i capolavori cinematografici basati sulle opere di Kafka quali “Il Processo” (1962) di Orson Welles e la serie televisiva “Il Castello” (1997) del bavarese Michael Haneke e a (ri)ascoltare le composizioni musicali ispirate dal clima dei suoi racconti, quali gli atonali „Sechs Motetten nach Worten von Franz Kafka” (Op.169) composti nel 1959 dal compositore e direttore d’orchestra austriaco Ernst Křenek (1900-1991).
In foto Franz Kafka