Kaurismaki il cinefilo dipinge la vita e i sentimenti dei perdenti

Foglie al vento: una storia d’amore immersa nell’emarginazione e nella miseria

Non sappiamo quale altro grande autore sia capace in soli ottanta minuti  -su uno sfondo discreto fatto da locandine sbircianti alcuni cult del cinema d’Occidente e d’ Oriente e di sequenze in un cinema d’essai  de I morti non muoiono di Jarmush – di regalarci, assieme , la carezza  di una piccola delicata impacciata storia tra due anime- foglie al vento che richiama temi, luoghi, protagonisti emarginati e proletari dei film di Ken Loach. E come colonna sonora  canzoni finniche strappalacrime e vetuste, ma anche il rock d’atmosfere elettroniche del duo cool  Maustetytöt   e  chiudere infine con  Les Feuilles  Mortes . Il risultato potrebbe volgere facilmente nel trash o in un’accozzaglia pretenziosa, e financo gonfia di citazionismo e snobismo da cinefili.

Ma Kaurismaki ci fa gustare un distillato di tutt’altro sapore, che sa di vita vera, con la classe purissima di chi ha raggiunto la semplicità del gesto filmico, servendosi di minimi movimenti di macchina e luci al neon su colori pastello; facendoci così trascorrere dalla sua grande passione del cinema, nella naturalezza pulita e livida della fiaba che racconta, dove ci starebbe benissimo il Paolo Conte di Gelato al limone , in cui “sprofondati in fondo alla città” l’uomo alla sua lei non può  che “offrire la sensualità delle vite disperate” e, nero-futurista, la stupisce regalandole persino “l’intelligenza degli elettricisti, così almeno un po’ di luce avrai”.  E così i due protagonisti della storia d’amore che più spiegazzata e compromessa non si può, entrambi si fanno bastare quel che offre il convento.

Lei, biondina minuta dai tristi vivissimi occhi azzurri,  è stata licenziata per essersi messa in borsa uno yogurt scaduto dal supermarket in cui lavorava,  incontra lui -che assomiglia a un James Stewart un po’ alticcio- a un karaoke dove entrambi sono stati trascinati da rispettivi colleghi. Ma sono timidissimi e non si scambiano che uno sguardo furtivo. Un giorno Il Jimmy finlandese a una fermata di bus prende coraggio e le propone di fare quattro chiacchiere per un caffè, e lei francamente  gli dice che non ha i soldi perché la pagano il giorno dopo : “Sono felice di offrirtelo io” azzarda  lui. E poi al tavolino del caffè osa ancora : ”Adesso ci vorrebbe un film”, “ma  un film che vuoi tu, che ti piacerebbe vedere? : “ I morti non muoiono”. Zombi, splatter, l’ironia sullo schermo di Jim Jarmusch, e quella massima nel commento di due attempati spettatori all’uscita: “Mi ha ricordato Diario di un curato di campagna di Bresson” (!) , “E a me piuttosto Godard” (!). Siamo spiazzati, non siamo in zona Woody Allen in Annie Hall, ma Kaurismaki ci ha lasciato un tocco della sua passione da cinefilo (prendendosi in giro) , ma in realtà non ha perso di vista il filo della storia che vuol raccontare. E al momento dei saluti, lei osa dargli un bacio sulla guancia , lui ancora incantato, con lei sul bus, si fa volar via il foglietto col numero telefonico. Nessuno dei due si è scambiato il nome né l’indirizzo. Si perdono per giorni. Si ritrovano sempre di fronte al cinema Ritz che intanto ci ha fatto intravvedere, elegantemente, sulla sua facciata, frammenti di locandine di  Brigitte Bardot, Rocco e i suoi fratelli, un Sirk, un Ozu. “Tu ci verresti a cena a casa mia?” azzarda lei e il giorno dopo compra un piatto e due posate anche per lui, e un frizzantino di 33 ml, che basta per un bicchiere ciascuno per tutto il pasto, fatto di uova sode a fette su foglie di verza e cavolo.

A lui la coppa di spumantino serve solo per bagnarsi le labbra e furtivo attinge due sorsi di vodka dalla fiaschetta della giacca. Lei se n’accorge,  gli dice calma e ferma senza altri giri di parole che lui le piace, ma che non vuol vivere con un alcolizzato, giacché ha perso per questo vizio un padre e un fratello. Lui le risponde piccato, ma calmo, che non accetta comandi . Se ne va in silenzio nella notte. Lei getta nella pattumiera il piatto e le due posate, giacché pensa che sia  già finita. E invece no. Quella che potrebbe essere una scena alla Douglas Sirk, enfatica e sanguigna come i suoi colori, Kaurismaki la risolve in dialoghi laconici, quasi fatici, l’opposto della gonfiezza dei melo del regista germano-americano : ambienti poverissimi, specie gli interni, ma per inquadrature sempre perfette, con un cromatismo tenue di tinte e di oggetti , dove non ci sono tv o altre apparecchiature HF,  ma solo una radio volutamente d’anteguerra , che le volte in cui è accesa rimanda invece all’attualità dell’invasione russa dell’Ucraina, con lo stillicidio dell’ assedio di Mariupol. E un calendario squadernato nel 2024. 

Ci viene restituita una lezione di stile in modo lieve e sommesso, un’idea di cinema che può raccontare una storia d’amore, o forse un suo simulacro/fiaba, immersa nell’emarginazione e  miseria come schiuma d’ un capitalismo sociale sulla carta trionfante, di un paese che l’OCSE  mette al primo posto per sistema d’istruzione, e per welfare ; e dove si licenziano senza preavviso una donna con un yogurt scaduto nella borsa, e un uomo ferito sul lavoro per scarsa manutenzione del macchinario, perché risultato positivo al test. Kaurismaki si permette di lavorare in purezza  facendo agire i suoi due personaggi senza inseguimenti, urli, e facce stravolte. E li avvolge con un fondale di  frammenti di locandine che alludono al grande cinema, un cinema che va dall’America al Giappone, dalla Francia all’Italia. Il miracolo è che tutto si tiene nella misura di pochi tocchi, il sogno del cinema e  l’asperità di vite ai margini, una piega amara negli occhi dei due amanti, un senso dell’umorismo che aleggia lieve, sentimenti tra due persone semplici, abituate a non aspettarsi niente dalla vita, e farsi bastare , lui non abituato a certe tenerezze,  il miracolo alto d’ un bacio sulla guancia (“ci siamo quasi sposati”), e lei un James Stewart finnico e sdirruppato.

Kaurismaki forse ci racconta in pochi tratti che entrambi non possono permettersi di volare alto, che il desiderio alla Sirk è troppa roba  per loro, sono anime al vento, dal cuore sincero e dai sentimenti quieti e non febbrili e a tinte forti come nell’omonimo film americano da cui prendono le distanze.

E quindi il nostro autore  li accompagna dolcemente all’uscita di scena (e dall’ospedale) col Jimmy finnico sulle stampelle, dopo che lei lo ha riscovato e risvegliato per un incidente stradale in cui è stato persino in coma.  E ora non viaggiano mano nella mano , come gli amanti di Prevert, ma un poco distanti, arrancante lui dietro lei che segue il passo più spedito d’ una cagnolina al guinzaglio , salvata dalla soppressione in canile , che non chiede altro che il calore di queste creature portatrici di “amori che nemmeno stanno stare al mondo”. Kiarostami nella scena un po’ buffa,  sotto un cielo dipinto, tra l’ aurorale e l’uggioso, ci salva dal melenso e ci dice  – chiamando la cagnolina Chaplin, e facendoci accompagnare dall’Ives Montand de Les Feuilles  Mortes – che la sua ispirazione cinefila è sempre intrisa di ironia verso se stesso, e verso tutte le creature perdenti ,  per cui tradisce una sconfinata ruvida tenerezza.     

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