Partiamo da dove, più o meno, ci eravamo lasciati l’altra volta. L’incazzatura evidente ancorché mediaticamente non palesata di Elly Schlein dopo i fatti veneti. Quali? Il suicidio politico ancorché assistito del Pd che, attraverso il voto contrario della dem Anna Maria Bigon sulla legge sul fine vita della Regione Veneto, ha fatto saltare proprio la legge stessa, per sua stessa ammissione, dopo essersi consultata con Graziano Delrio. Ottenendo da una parte l’allineamento della propria coscienza con le decisioni pragmatiche, dall’altra però la figuraccia del suo partito proprio sui temi tanto cari alla segreteria nazionale e che marcherebbero la distanza appunto del “progressismo” dal “conservatorismo”. Oltre al fatto che un esito differente avrebbe scombussolato di brutto la compagine governativa del centrodestra mettendo in netta difficoltà il rapporto (già assai compromesso dicono le fonti romane) tra il governatore Zaia, la Meloni e Salvini. Con Zaia e un buon 50% di consiglieri regionali del centrodestra che su questo tema sono quindi più laici della Bigon e di Delrio.
Delrio aveva minacciato fuoco e fiamme in caso di provvedimenti del Pd verso la collega Bigon che nel frattempo è stata destituita dal suo incarico di vicesegretaria provinciale del Pd veronese in attesa del redde rationem, alla direzione veronese del Pd, il prossimo 5 febbraio. Forse l’ex sindaco di Reggio Delrio attende quell’epilogo per dare eventualmente seguito alle minacce di “autosospensione” dal partito in caso appunto di punizioni interne alla Bigon. Punizioni che sono puntualmente arrivate. Ma Delrio ora nicchia e si limita a reprimende verbali.
D’altronde prima o poi i nodi politici vengono al pettine quando le anime dentro ad una stessa organizzazione sono così opposte almeno sui temi sensibili. In soccorso dell’area cattolica è subito sceso in campo lo stesso Pierluigi Castagnetti, padre nobile del post-dossettismo, il quale in un anche condivisibile (almeno sul piano squisitamente teorico) post facebook ha gridato alla necessità della libertà di coscienza, ottenendo immediatamente la solita valanga di like, pochissimi però quelli di politici del suo partito, se non una sparutissima manciata dalla sua stretta cerchia. Ad esempio Antonio Bernardi ha dissentito nettamente dal post castagnettiano mentre Luigi Manconi gli ha spiegato che “la via per salvaguardare obiezione ed obblighi era uscire dall’aula” perché se prevale il “relativismo morale assoluto” (ovvero uno fa quel che vuole nell’atto del voto, come del tutto legittimo peraltro) “meglio rinunciare alla forma partito”. Come a dire, si vuole giustamente esercitare la propria libertà di coscienza? Del tutto libero di farlo, così come le strade così divergenti sulle questioni epocali, dovrebbero a quel punto separarsi.
Tornando all’incipit, il primo anno schleiniano alla guida del Pd ha visto la neo-segretaria indecisa su tutto, evitando di assumere su (quasi) tutti i temi importanti posizioni nette proprio per evitare di scontentare le anime del Pd. Solo sull’Ucraina ha tenuto la barra ben dritta ancorando il Pd all’Europa malgrado le pressioni di molti nostalgici (ex?) comunisti e terzomondisti cattocom che, col loro neneismo (né di qua né di là) , hanno rischiato di ributtare quel che resta della sinistra italiana nelle mani insanguinate di Vladimir Putin, l’ex ufficiale del Kgb che ambisce a ricostruire il tetro impero sovietico. Ma sul caso del fine-vita veneta, Elly ha battuto un colpo, e lo ha battuto sulla testa dei cattolici. In particolare su quella della consigliera Bigon, che col suo voto ha salvato il centrodestra da una storica lacerazione peraltro nel fortino per eccellenza del leghismo, il Veneto. Grazie, o a causa dicevamo, dipende dai punti di vista, alla telefonata con Delrio.
E qui scendiamo a Reggio: i cattolici ormai nella politica italiana, intesi almeno come forza in quota partito, sono sempre meno rilevanti, sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Fatta eccezione appunto per il Pattone reggiano, nel quale però la residua ala cattodem fa sostanzialmente da ruota di scorta all’inner circle del sindaco Luca Vecchi, composto da un pugno di ex dalemiani ed ex esponenti della vecchia sinistra Ds rafforzati dal sostegno della burocrazia delle aziende partecipate del Comune, interni ed esterni al Pd. Sempre dalla nostre parti c’è una sparuta ma combattiva minoranza di attivisti/e di sinistra assai vivace sui temi etici come la tutela dei diritti delle donne (vedi il caso del calciatore Portanova). Abbiamo però il vago sospetto che sul fondamentale tema del fine-vita a Reggio non assisteremo alla stessa mobilitazione, per non intaccare troppo gli equilibri sempre più precari nel e del Pattone.
Noi però almeno dai due candidati sindaci attualmente in pectore fino a prova contraria del centrosinistra, cioè l’outsider Lanfranco de Franco ed il prescelto Marco Massari, un parere sul caso Bigon e sul delicatissimo tema della legge sul fine vita, gradiremmo averlo. Come sempre abbastanza sicuri che non saremo ascoltati.