Firenze – Guarda davanti a te e immagina di vedere solo bianco. Una cecità improvvisa e avvolgente, “come essere immersi in un mare di latte a occhi aperti”. Questo è l’incipit di uno dei più bei romanzi del novecento, “Saggio sulla Cecità”, solo “Cecità” nel titolo italiano, uno dei capolavori di José Saramago, lo scrittore Premio Nobel 1998.
Che meraviglioso spunto per l’ispirazione drammaturgica e coreografica di Virgilio Sieni. I suoi studi sulla “Danza cieca” fatti insieme con Giuseppe Comuniello, espressione dell’arte del gesto nel rapporto fra due esseri umani che si incontrano e comunicano con il corpo e lo spazio tattile, si realizzano ora nella grande metafora sull’indifferenza, l’egoismo e la sopraffazione dello scrittore portoghese. E’ l’immagine dello spirito del tempo che impone guerre, epidemie, disuguaglianze, potere disumanizzato.
Lo spettacolo liberamente ispirato al romanzo è in scena in questi giorni al Teatro Fabbricone, dopo aver esordito al Teatro Astra di Torino il 7 novembre scorso: interpretato dai danzatori della compagnia del Centro per la Danza (Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo, Emanuel Santos), con l’ideazione, la coreografia e lo spazio scenico di Sieni, e prodotto insieme alla Fondazione Teatro Piemonte Europa e la Fondazione Teatro Metastasio di Prato.
“Immersi in un mare di latte a occhi aperti” gli spettatori entrano subito nel dramma di un’umanità colpita da un’epidemia che li rende ciechi. I danzatori si muovono dietro uno schermo bianco, si avvicinano, si allontanano, spingono le mani sul telone elastico, mostrano il terrore e la violenza che la nuova condizione scatena. La musica di Fabrizio Cammarata, lancinante, tagliente, dirompente, accompagna fi d’ira questo gruppo di disperati.
Il secondo quadro ci porta in un vecchio manicomio nel quale vengono rinchiusi i primi contagiati ed è qui che si scatena la vera follia, tutto il male che l’uomo può essere capace di infliggere ai suoi simili. La guerra di tutti contro tutti, i ciechi malvagi contro quelli più deboli. Gli istinti primordiali, l’indifferenza e la cattiveria: affermazione del potere con la fame e la violenza fisica. Le donne sono l’unico elemento positivo anche se sono anch’esse coinvolte nella lotta per la sopravvivenza.
Il terzo tempo è ispirato tutto alla poetica di Sieni. Una figura in bianco, con un lungo pennello da imbianchino, esprime il tentativo di questa umanità feroce e autodistruttiva di riportare ordine e razionalità, eliminando i segni della degradazione. Ma la pacificazione, il ritorno della solidarietà scomparsa avviene soprattutto grazie al recupero di un rapporto nuovo con la ferinità dell’essere umano, con la natura prima repressa e poi scatenata senza limiti. «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono», dice la moglie del medico nel romanzo.
Lo spettacolo offre allo spettatore una sintesi straordinaria della ricerca poetica e di quella sul linguaggio artistico del coreografo fiorentino. “Con Cecità – afferma Sieni – si esplora quello stato di mancanza che risveglia la vita delle cose facemdole sbalzare fuori dalla quotidianità, ricercando un’essenza che ricorda che prima di tutto siamo natura, una natura che reagisce a noi, capace di distruggere noi”.
Fino al 19 novembre al Teatro Fabbricone di Prato