L’attacco di Hamas a Israele: rischio esplosione in tutto il Medio Oriente

L’asse siglato tra Hezbollah, Hamas e Iran prefigurava qualcosa di tremendo

Nella mattina di sabato, durante quello che sembrava un tranquillo shabbat, Israele si è svegliata in una nuova guerra. A sferrare un attacco senza precedenti sul suolo israeliano è stata l’organizzazione terroristica di Hamas. Per trovare un episodio simile di invasione su larga scala dobbiamo riavvolgere il nastro della storia al ’73, alla guerra dello Yom Kippur contro gli eserciti di Egitto e Siria. 50 anni dopo decine di terroristi islamici si sono infiltrati in varie località della regione meridionale del Negev. Prima le sirene che hanno risuonato fino a Tel Aviv, per la pioggia di missili lanciati da Gaza, e poi lo “sfondamento” del confine, con un’orda di uomini armati che hanno preso d’assalto intere comunità inermi. “Dopo aver camminato un’ora siamo arrivati in uno dei kibbutz dell’occupazione. L’obiettivo di questa operazione è rapire i coloni e uccidere soldati. Sopprimere i coloni”. A parlare è un “giornalista” palestinese al seguito delle truppe di Hamas che hanno fatto breccia in Israele. L’obiettivo sarà anche stato di prendere ostaggi e negoziare la loro liberazione, l’unica certezza è che il prezzo che Gaza pagherà è alto.

Intanto, è unanime il giudizio che sia i servizi segreti che l’esercito israeliano (IDF) hanno avuto una falla nel prevenire un attacco preparato dettagliatamente da tempo. Pochi i dubbi sul fatto che l’IDF, l’esercito più potente del Medio Oriente, è stato colto completamente di sorpresa, ma non è l’unico colpevole di questa triste pagina di storia. Fino allo scoppio delle ostilità l’intelligence stimava una bassa possibilità che Hamas si impegnasse in una nuova escalation, i segnali andavano in tutt’altra direzione. Questo errore di valutazione, indotto molto probabilmente anche dalle informazioni egiziane, ha portato ad un maggiore dispiegamento di forze in Cisgiordania, in particolare nell’area di Nablus e nel campo profughi di Jenin. Dove, per la presenza delle colonie israeliane da proteggere, la situazione appariva più pericolosa e violenta. In qualche modo la strategia di spostare l’attenzione da Gaza alla Cisgiordania ha risentito dell’attuale clima politico, i partiti nazionalisti al governo spingono per l’annessione, ed hanno nei coloni il loro bacino elettorale. Questo combinato è parte del disastro a cui stiamo assistendo.

Così il giornalista Avi Issacharoff. “È l’11 settembre [di Israele], e se non sfodera una larga operazione di terra, è la fine della vita politica di questo governo”. Yair Lapid e Benny Gantz, i leader dei due principali partiti dell’opposizione al governo Netanyahu, hanno teso una mano all’avversario politico. Offrendo la disponibilità ad aderire ad un governo di unità nazionale. Lapid, a differenza dell’ex capo di stato maggiore Gantz, ha tuttavia posto una condizione, che fossero rimossi dall’incarico i due personaggi più carismatici dell’estrema destra nazionalista, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir. La decisione finale spetta ovviamente a Netanyahu, la scelta non è semplice. Se accetta si rivoluziona l’asse politico del governo. E cade ogni velleità di portare avanti il programma di riforma della giustizia, che aveva spaccato l’opinione publica israeliana in due. Ma si apre per Netanyahu lo spazio (politico e diplomatico) per portare avanti il suo storico piano di colpire Teheran (i progetti militari sono riposti nel cassetto da anni). L’ambasciatore di Israele in Italia, Alon Bar, non è l’unico a pensare che dietro ad Hamas “c’è il sostegno dell’Iran”. Difficile il contrario, soprattutto perché non c’è nessuna smentita all’accusa.

A giugno scorso una delegazione ad alto livello di Hamas, incluso il capo dell’Ufficio politico del movimento Ismail Haniyeh, ha incontrato il presidente iraniano Ebrahim Raisi a Teheran per discutere della causa palestinese. Nella dichiarazione Haniyeh ha salutato il ruolo dell’Iran a sostegno del popolo palestinese. E il presidente iraniano, a sua volta, ha ribadito l’impegno del suo paese in favore della resistenza di fronte all’occupazione israeliana. Pochi mesi prima lo stesso Haniyeh aveva personalmente fatto visita a Beirut a Hassan Nasrallah. L’asse in calce siglato tra Hezbollah, Hamas e Iran degli ayatollah prefigurava che qualcosa di tremendo bolliva in pentola.

Le relazioni diplomatiche di Netanyahu con il mondo sunnita – gli “arabi anti-iraniani”, che hanno portato ad espandere il perimetro degli affari e gli stessi Accordi di Abramo, come i recenti colloqui distensivi tra Israele e sauditi (con il placet della Turchia di Erdogan) hanno accelerato la reazione degli altri attori regionali. Adesso Netanyahu, se come ha ripetutamente promesso, vuole dare una lezione ai nemici, vicini e lontani, si vede costretto ad agire su vari teatri contemporaneamente. Per il via libera ad attaccare l’Iran c’è comunque da attendere il nulla osta di Washington. In un quadro politico come quello attuale tutto lascia pensare che l’eterno conflitto del Medio Oriente possa a questo punto davvero inasprirsi sino ad autoalimentarsi all’infinito. L’11 settembre di Israele è iniziato il 7 ottobre 2023. Auguriamoci che non finisca nello stesso modo, e che Gaza non diventi l’Afghanistan del Mediterraneo. Oh forse Hamasistan è già Afghanistan, e l’incubo continua.

Alfredo De Girolamo Enrico Catassi

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