Una recente sentenza di merito del Tribunale di Firenze sul tema del diritto all’immagine dei beni culturali che ha avuto al suo centro il David di Michelangelo conservato alla Galleria dell’Accademia, rimette in luce l’importanza delle vicende giuridiche che si sono sviluppate a partire dall’ordinanza cautelare emessa dalla stessa corte fiorentina nel 2017. Era stata la direttrice dell’Accademia Cecilie Hollberg a presentare l’istanza e a lei va ascritto il merito di aver intrapreso una battaglia del tutto innovativa nella storia della tutela giuridica dei beni culturali. In sintesi, le varie ordinanze e sentenze, confermate dall’ultimo pronunciamento del Tribunale fiorentino, affermano ormai con una certa tranquillità il principio che anche il bene culturale ha diritto alla tutela dell’immagine.
L’ultima sentenza di merito, che riguarda appunto l’uso abusivo dell’immagine del David di Michelangelo, interessa due società, chiamate in causa dal Ministero della Cultura, per aver utilizzato una riproduzione in scala naturale del capolavoro michelangiolesco per fini commerciali ed in assenza delle prescritte autorizzazioni.
L’immagine del capolavoro di Michelangelo “è stata gravemente alterata e mortificata” scrive il Tribunale di Firenze. “L’opera del genio michelangiolesco è, pertanto, volgarmente asservita a finalità pubblicitarie e commerciali. In tal modo, si umilia e si svilisce – fino ad annichilirlo – l’altissimo valore artistico e culturale dell’opera di cui si discute.” Viene riconosciuto, inoltre, il punto focale della tutela del patrimonio nella “fruizione culturalmente qualificata e gratuita da parte dell’intera collettività secondo modalità orientate allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Si conferma e ribadisce, dunque, quanto già affermato nella precedente sentenza non definitiva n. 1207 del 21/04/2023 del Tribunale di Firenze, con cui è stata dichiarata, per la prima volta, l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali quale espressione del diritto costituzionale all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima della Nazione. Inoltre, sul presupposto dell’esistenza del diritto all’immagine del bene culturale, quale diritto costituzionalmente garantito ai sensi degli articoli 2 e 9 della Costituzione e dell’articolo 1 del Codice dei Beni Culturali, oltre al danno patrimoniale è stato riconosciuto anche il danno non patrimoniale e le due società sono state condannate a un risarcimento per il quale resta da definire l’ammontare.
“Questa sentenza costituisce un ulteriore importante riconoscimento per la difesa dell’arte e dei beni culturali in Italia,” commenta Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze, da anni impegnata nella tutela dell’immagine dell’opera di Michelangelo e dei valori che essa rappresenta.
Il percorso per cui ormai si può affermare il riconoscimento del diritto all’immagine da parte delle opere d’arte e dei beni culturali tout court è il risultato della serie di cause vinte dalla Galleria dell’Accademia di Firenze, in cui è stato affermato, per la prima volta, in più di una pronuncia di merito, l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali quale espressione del diritto costituzionale all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione. Artefice di tale fondamentale decisione è stato il Tribunale di Firenze, che più volte in passato ha accordato tutela cautelare alle istanze rivolte dalla Galleria dell’Accademia, e grazie al quale il nostro ordinamento si pone ora all’avanguardia nel campo della tutela dei beni culturali.
“Senza l’impegno per la tutela della dignità del David non ci sarebbe stata questa vittoria epocale che ha fatto da apripista per tutti i beni culturali “ sottolinea Hollberg.
La strada per giungere a questo risultato è stata oggetto del convegno che si è tenuto lunedì 18 settembre, con la partecipazione del professor Antonio Leo Tarasco, Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della cultura nonché professore ordinario di diritto amministrativo, Stefano Vatti, Vicepresidente del Gruppo Italiano AIPPI, l’avvocato Giovanni La Spina, della Fondazione per la Formazione Forense, che hanno introdotto gli argomenti trattati nel corso dell’evento, mentre l’avvocato Donato Nitti, responsabile della sezione fiorentina dell’AIPPI, ha coordinato i lavori. I relatori, l’Avvocato dello Stato Piercarlo Pirollo, Patrizia Pompei, Presidente della Sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Firenze e il professor Cesare Galli, avvocato e ordinario dell’Università di Parma.
Il punto fondamentale del percorso, è ben riassunto dall’intervento dell’Avvocato dello Stato, Piercarlo Pirollo, che ha assistito la Galleria dell’Accademia nei giudizi di tutela dell’immagine del David. “Come si giunge all’affermazione del diritto all’immagine dei beni culturali quale diritto all’identità culturale collettiva dei cittadini?” è la domanda di partenza.
“Al di là del caso particolare su cui si appuntò la richiesta di tutela che si risolse nell’ordinanza del 2017 – spiega Pirollo – era possibile assistere all’uso indiscriminato, diffuso, senza controllo dell’immagine del David, soprattutto nel mondo virtuale della rete, da parte di singole imprese, multinazionali e altri soggetti, in occasione di lanci per utilizzare il David per pubblicizzare la propria immagine, utilizzando le potenzialità della rete, che come ben si sa, è potenzialmente in grado di raggiungere infiniti utenti. Con l’aggravante che queste immagini sono destinate a durare in eterno. Dal 2017 al 2023, l’amministrazione è riuscita ad ottenere 5 diverse ordinanze cautelari favorevoli, e due sentenze in merito, mentre si attendono altre decisioni. Ciò ci permette di affermare con una certa tranquillità che il Tribunale di Firenze accorda tutela al diritto all’immagine dei beni culturali”.
Da una prima analisi, diritto all’immagine e beni culturali sembrano concetti ascrivibili a due categorie giuridiche diverse. Il diritto all’immagine attiene alla persona, il concetto di bene culturale a una cosa. Ma in realtà esistono punti di contatto?
“Partendo dal diritto all’immagine di cui all’art.10 cc, ci si rese conto che non offriva efficacia di tutela a situazioni nuove, che seguono il cambiamento sociale – spiega Pirollo – ed è da questa necessità che a livello giurisprudenziale si crea una nuova figura, il diritto all’identità personale (prima sentenza 6 maggio 1974 del pretore di Roma). Per la prima volta, si affermò il diritto all’identità personale, che, visti i tempi storici (anni’70) si esplicò in particolare sotto i profilo dei partiti, sostanziandosi nella proiezione sociale della propria immagine. Si parla a quei tempi di profilo sociale, ciò che è diventato il nostro profilo social”.
Riversando la giurisprudenza in oggetto sul versante dei beni culturali, ci troviamo di fronte a un bene, di cultura intesa come sinonimo di civiltà, ovvero a un patrimonio di cultura e conoscenza che proviene dal passato e si lancia nel futuro. Beni giuridici che vanno oltre alla funzione patrimoniale, ma attengono allo sviluppo della natura umana.
“I Beni culturali sono dunque beni immateriali, sono testimonianza di civiltà che aderiscono a un supporto visivo e fisico – continua Pirollo – il bene giuridico oggetto di tutela è perciò la sintesi di civiltà su cui il bene si costituisce. L’aspetto immateriale emerge in varie norme del codice dei beni culturali (es. art. 10 comma 3), in cui si parla di testimonianza di civiltà (beni di identità culturale collettiva). Quindi si giunge al bene culturale come espressione di identità culturale collettiva”. Ne consegue che il contatto che viene a costituirsi fra diritto all’immagine, diritto all’identità personale, e bene culturale-identità collettiva, è una vera e propria identità. Ma se questo è vero, prosegue Pirollo, occorre verificare se sia utilizzabile anche “nel campo dei beni culturali quella modalità di tutela identificata dalla Cassazione che riguarda il diritto all’immagine-identità personale della persona”.
La risposta è affermativa e si basa sul riferimento al dettato costituzionale, in particolare all’art. 9 della Cost. che richiama la tutela, fra le altre cose, del paesaggio e del patrimonio storico artistico della nazione. Un termine, “nazione”, che è usato in pochissime altre norme, fa notare Pirollo. Nazione intesa come popolo – dice il giurista- ovvero, ciò che caratterizza la nostra nazione è il profilo culturale: noi siamo italiani per cultura”.
Tornando al “patrimonio storico artistico culturale della nazione”, riconosciuto come principio identitario del popolo italiano nella Carta fondamentale nel novero dei principi irrinunciabili ed essenziali alla costituzione del sistema, si può dunque applicare direttamente l’art. 9 Cost. come l’art. 2 cost, che riguarda l’identità personale. Dall’accertamento della tutelabilità del bene culturale, scaturisce la quantificazione del danno, che ovviamente esprime anche un profilo immateriale.
Il codice dei beni culturali, d’altro canto, lascia un ampio margine di libertà nell’utilizzo dell’immagine dei beni culturali, ma il discrimine è posto “quando un’azienda si appropria dell’immagine di un bene culturale per valorizzare la propria azienda e i propri prodotti” e così facendo si appropria di un’immagine e dei dati di un’identità personale. Dunque, il problema della tutela non contempla una limitazione della libertà. “Questa valutazione di incompatibilità è il minimo sindacale”, dice Pirollo. In altre parole, l’utilizzo da parte di qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che travisi il significato storico e culturale del bene, si può configurare come una lesione all’identità collettiva del bene, al suo diritto all’immagine che, come specificato inseguito dalla direttrice Cecile Holnberg, è una lesione alla sua dignità. Anche perché configura una lesione all’intera identità collettiva di un popolo, quello italiano, che ha nella cultura la sua prima chiave di riconoscibilità.
L’identificazione di bene culturale e la patrimonializzazione del danno, nel corso della discussione, è stato affrontato in particolare da Patrizia Pompei, Presidente della Sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Firenze, che ha anche sottolineato la frizione che potrebbe aprirsi (ma che è stata superata dalle sentenze più recenti della Corte fiorentina), fra l’art. 9 della cost., il nostro codice dei beni culturali e l’art. 14 della direttiva europea 790/2019 in merito di libera circolazione delle persone e delle opere d’arte e delle immagini, in vista di una diffusione che consenta accesso alla cultura da parte di un più vasto pubblico. Dialettica superata in vista del rientro del diritto alla tutela del patrimonio culturale e dei beni culturali nel novero dei principi “irrinunciabili” del nostro sistema costituzionale. Più complessa la problematica della quantificazione del danno, in particolare sotto quell’aspetto davvero infinito che riguarda il suo profilo immateriale.
Ampia e articolata la relazione del professor Cesare Galli, avvocato e professore ordinario dell’Università di Parma, esperto nell’accademia italiana di diritto industriale e della proprietà intellettuale, che pone due punti: da un lato, il dato di fatto che la proprietà intellettuale come il bene culturale (anche se di proprietà privata e tanto più se pubblica) è naturale portatore di un interesse pubblico, per cui “non dobbiamo più pensare alla bellezza dell’Italia come qualcosa semplicemente da proteggere, ma come uno straordinario patrimonio da valorizzare. E valorizzare significa metterlo a disposizione, ma anche costruire il futuro sostenibile per il nostro Paese e per le nuove generazioni”; dall’altro, la necessità che questo patrimonio eccezionale e identificante del popolo italiano, sia connesso con le eccellenze manifatturiere e non solo del nostro Paese, per lanciare un sistema economico fortemente innovativo, sostenibile, dinamico e di ricerca.
Ed è Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze, a mettere il punto sulle battaglie intraprese per la salvaguardia dell’immagine del capolavoro di Michelangelo.
“Il mio interesse come direttore di questo museo non è solo conservare e presentare le opere presenti, tutti capolavori, nella migliore luce possibile. Un museo ha anche il compito di educare, comunicare quanto conserva – spiega la direttrice – Prendo sul serio questo compito affidatomi, tutelando le opere che sono nel Museo; non solo la tutela fisica, ma anche non esponendomi su certo argomenti in pubblico”. Il nocciolo è: “La tutela dell’immagine è la tutela dell’opera, perché l’opera ha una sua dignità. Il David non ha bisogno di essere diffuso. Avrei potuto parlare sempre ed esclusivamente del David, e ne avrei avuto una grande visibilità in tutto il mondo. Il David non è solo l’icona del Rinascimento, l’opera di un artista, ma è carico di una moltitudine di significati religiosi, culturali, commissionata dall’Opera del Duomo di Firenze, ente religioso, poi, rivelato al pubblico questo capolavoro, ecco che si decide di metterlo nel centro politico della città, accanto a Palazzo Vecchio. Il museo stesso, costruito per il David di Michelangelo, ha forma di basilica. Al posto dell’altar maggiore, pone il David, illuminato da una cupola come un oggetto sacrale. E’ una figura che va tutelata, non potevo tollerare che venisse usata nel peggiore dei modi”. Ora possiamo dire che grazie a questa straordinaria direttrice, non fu solo un successo, ma l’ormai famosa ordinanza del 2017 ha segnato una svolta, una strada che è balzata all’attenzione di tutta Europa.
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