Suggerisce un sapore di contrasto già prima di cominciare, il nuovo film del maestro Garrone, con quel suo titolo che, pur anelando all’internazionalità, si affaccia su una Napoli antica, provinciale e folkloristica. Reality, quindi: perfetta sintesi semantica tra l’ossessione dello show televisivo monitorato/spiato per mesi e la paranoia della vita reale consumata lontano (si spera) da occhi indiscreti.
Dopo il successo del ben più crudo e asciutto Gomorra – che tantissimo diede al traino dell’osannato libro da cui fu tratto -, il regista romano opta per quella che più di qualcuno ha forse impropriamente definito una favola moderna. E lo fa con uno stile più lineare, non poco incisivo sebbene volutamente meno intenso di quello utilizzato nelle sue opere precedenti. La parabola di Luciano, pescivendolo ottimista e solare che sogna di andare al Grande Fratello rimanendo in perenne attesa di essere richiamato dagli studios dopo un provino a sua detta spettacolare (ma del quale nessuno, nemmeno lo spettatore, ha reale testimonianza), diventa allegoria del riscatto individuale deresponsabilizzante, attualizzazione in chiave mediatica dell’antica retorica da gratta e vinci, videopoker, lotti (e superenalotti) e di qualsivoglia colpo di fortuna legato al gioco più che al mettersi in gioco.
Bravissimi gli attori, soprattutto l’alienato Aniello Arena e la sua filmica consorte Loredana Simioli. Assai suggestiva anche la fotografia, la quale sembra calibrare costantemente le zone d’ombra percettive del sempre meno lucido protagonista di pari passo con l’incedere del suo dramma personale.
Probabilmente Reality non susciterà lo stesso interesse del predecessore cinematografico garroniano, eppure riesce a permeare di denuncia ed evocatività una narrazione di per sé robusta e mai scontata. Da recuperare nonostante qualunque eventuale ritrosia.