L’immagine è quella di un uomo braccato e sconfitto. Dietro i cancelli dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra Julian Assange parla sorvegliato da bobbies pronti ad ammanettarlo nel caso mettesse piede sul suolo britannico. E’ il punto più basso della parabola del fondatore di Wikileaks, accusato di stupro, costretto a chiedere rifugio al controverso presidente Rafael Correa. Ciò che resta due anni dopo l’esplosione della bomba delle leaks (letteralmente fughe di notizie) che ha fatto tremare governi e potenti di mezzo mondo è un sito costantemente sotto attacco, il suo fondatore braccato, le fonti di finanziamento bloccate e lo staff decimato dalle defezioni.
Di Assange si è detto e scritto di tutto. Per i suoi sostenitori è un Robin Hood della libertà di stampa, per i nemici un pericoloso criminale e un pazzo. Eroe o visionario che sia, Julian Assange è prima di tutto un hacker. E’ grazie alle sue competenze in campo informatico che il progetto ha visto la luce. Il segreto sta nel software, un sistema di cifratura che ha consentito alle fonti di inviare i documenti riservati in modo anonimo e sicuro. Ecco perché l’esperienza di Wikileaks segna un capitolo importante di una storia iniziata più di 40 anni fa negli Stati Uniti.
Le rivoluzioni, quelle vere, sono fatte di coincidenze. E’ come se un fil rouge che corre attraverso lo spazio e il tempo legasse personaggi che appartengono a mondi ed epoche diverse. Nel 1971, proprio mentre Assange viene al mondo in una cittadina australiana, a miglia di chilometri di distanza due ragazzi stanno scappando dalla polizia nel pieno di una rivolta studentesca all’università di Berkeley, in California. Tra le mani hanno una scatola blu che tengono stretta come se fosse un tesoro. Sono Steve Jobs e Steve Wozniak, i geni ribelli che cinque anni dopo fonderanno la Apple. Nella scatola che stanno tentando di mettere al sicuro c’è un semplice fischietto regalato da una marca di cereali. “Si credono rivoluzionari, ma i rivoluzionari siamo noi” dice Jobs a Wozniak. Cosa c’è di rivoluzionario in un fischietto?
Aveva ragione Jobs. I due Steve avrebbero cambiato il mondo più di quanto non lo avrebbe fatto un intero movimento impregnato di simboli, dogmi, ideologia e slogan. “I rivoluzionari siamo noi”. I pirati.
Jobs e Wozniak avevano appena conosciuto John Draper, in arte Captain Crunch, un hacker che aveva scoperto che il fischietto regalato da una marca di cereali emetteva un tono a 2600 hertz, che era proprio quello usato dalla compagnia telefonica At&T per attivare le funzioni di controllo delle centrali. Wozniak aveva elaborato un dispositivo elettronico, una “blue box”, che appoggiato alla cornetta consentiva, fra le altre cose, di disattivare gli addebiti. Al di là dell’aspetto goliardico della faccenda – un giorno Wozniak chiamò il Vaticano e disse di essere Henry Kissinger – l’illegale “blu box” sarà il primo prodotto commerciale di Jobs e Wozniak.
E’ proprio in quel cruciale 1971 che prende forma la Triaf-O-Data, la prima società di Bill Gates, nata ufficialmente un anno più tardi con lo scopo commercializzare un computer capace di leggere ed elaborare i dati degli apparecchi di rilevamento del traffico. Gates è un geek, uno smanettone che nel 1968, a 13 anni, marinava le lezioni per sabotare il computer della scuola. Divampa il fuoco sessantottino, ma la vera rivoluzione passa da garage e camerette di adolescenti.
L’avventura della Triaf-O-Data non avrà un grande successo, ma sarà la base su cui nascerà la Microsoft. E’ l’inizio di una sfida destinata a cambiare il mondo, la più grande rivoluzione dai tempi dell’invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg. “Non voglio che pensiate che sia solo un film – dice il personaggio di Steve Jobs all’inizio dell film I pirati della Silicon Valley – . Un processo di conversione di elettroni e impulsi magnetici in forme figure e suoni. No, è ben altro. Siamo qui, per cambiare l’universo, altrimenti perché saremmo qui? Stiamo creando una coscienza completamente nuova come fanno gli artisti, o i poeti. Così dovete vedere la cosa. Noi stiamo riscrivendo la storia del pensiero umano”.
Julian Assange è figlio e continuatore della stessa rivoluzione. Nel fondatore di Wikileaks, l’hacker alfiere della libertà di espressione, l’uomo che ha svelato i segreti dei potenti del mondo, c’è il suono di quel fischietto nella scatola dei cereali.
E’ una figura emblematica del tempo presente Julian Assange. Le pulsioni e le inquietudini di un’epoca trovano posto nella parabola dell’hacker australiano così come, per altri versi , è accaduto per il boom dei social network: la presa di coscienza di una nuova libertà data dalla connessione globale alle eterne inquietudini legate al controllo della macchina sull’uomo e della società. Da Frankenstein di Mary Shelley agli incubi cyberpunk di William Gibson, c’è un intero filone culturale che spazia dalla musica alla letteratura che dà voce e forma alle paure che hanno accompagnato lo sviluppo tecnologico fin dagli albori, dalla Rivoluzione industriale alla cibernetica.
Ma ripercorrendo le tappe di questa storia, che è storia dell’umanità, emerge con una forza dirompente una lezione: il terreno su cui fiorisce lo sviluppo è la libertà. Le più grandi invenzioni che hanno dato forma al tempo presente sono nate dalla rottura delle regole; ai margini delle accademie e delle università, al di fuori delle gabbie delle ideologie, a volte oltre i confini della legge.
Giuseppe Manzotti