Abbiamo atteso e meditato un po’ prima di tornare su una vicenda solo sfiorata ma dall’evidente significato simbolico; abbiamo aspettato, a freddo, l’evolversi del terremoto. Ma ora tiriamo fuori alcune considerazioni sulla salita a Reggio, alla vigilia dello scossone tellurico del 29 maggio, del rottamatore Matteo Renzi, il nuovo che nel Pd avanza più che il suo contrario. Location dell’avvenimento, l’anfiteatro postmoderno en plein air dello spazio Gerra. La struttura neon-socialista delle illusioni perdute, la vetrina a più piani di tutto quanto fa spettacolo e intrattenimento giovine-giovine.
Davanti ad una scarna pletora sostanzialmente di esponenti di partito ai più svariati livelli, nuclei municipali con obbligo di presenza e umanità varia da ascrivere agli enti di secondo grado politicamente intesi, il 37enne sindaco di Firenze ha discettato in questi tempi di crisi dell’imprescindibile argomento “Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e twitter”, omonimo titolo del suo libro che fa rimpiangere il “Diario di un viaggio africano” di Walter Veltroni. Molto più ferrato sul cinguettìo web che sul padre della lingua italiana, Renzi ha eluso l’iniziale domanda grillesca dei giornalisti che lo aspettavano al varco.
Il presunto zombismo dei vertici Pd non sarebbe stato argomento interessante, almeno non come l’excursus estetico da città dell’utopia tratteggiato dal Pieraccioni della politica. La leggiadra frivolezza di quella serata dal sapore di raduno intra moenia di papaveroni della classe governativa locale sarebbe stata di enorme ed involontario stridore con la gravità dei fatti che da lì a poco si sarebbero tornati ad abbatterre sulla terra emiliana. Mettendo allo scoperto alcune domande che già circolavano in tempo non sospetti tra gli addetti ai lavori in attesa del vecchio stil Renzi. A chi giova l’organizzazione di non-eventi come questi?
Tra gli astanti del Gerra quella sera, prima del big-second sismico, anche giovani preparati, amministratori volenterosi e gente dal vivace senso civico; perché prestarsi, lo diciamo con una punta d’angoscia visto la deflagrazione rappresentativa, a teatrini che rischiano di allontanarli definitivamente dal comune sentire?