A simple life: Minimalismo Made in Hong Kong

Arriva nelle sale l’ultima opera di Ann Hui. Un cinema minimalista che commuove coi suoi tempi
Una scena del film

Era stato dato per vincente da buona parte della critica durante la scorsa Mostra del Cinema di Venezia, ma la maestosa epopea cosmo-familiare di Malick gli ha strappato la palma d’oro. Eppure A simple life di Ann Hui rimane un film di grande impatto stilistico ed emotivo.

La storia (vera) è quella di un produttore cinematografico di Hong Kong, Roger Lee, che si trova a dover badare alla sua anziana governante dopo che questa ha servito la famiglia di lui per oltre mezzo secolo. Una dinamica del tutto nuova per l’uomo, il quale si vede costretto a riprogrammare una vita quasi interamente monopolizzata da impegni di lavoro e vizi personali per riuscire a prestare le doverose cure ad una persona che, nella progressione della propria invalidità, viene percepita non più come una semplice subalterna ma come un effettivo membro della famiglia.

Il ritmo della pellicola, come nella migliore tradizione autoriale del cinema d’Oriente, si prende i suoi tempi per documentare il legame (quasi silenzioso) tra i due protagonisti. Questo rapporto delicato, fatto di rispetto ed affetto, giocato sulla continua negoziazione tra un padrone premuroso e una domestica bisognosa ma restia a ricevere qualunque tipo di attenzione, riesce a commuovere senza nemmeno l’ombra di un rischio retorico o di una deriva melensa. Probabilmente la sua durata potrebbe sembrare eccessiva, data la lentezza della narrazione, ma è anche in virtù del minimalismo scelto da Hui che il racconto acquisisce la propria forza drammatica.

Un’opera che merita di essere scoperta o riscoperta, e che fa ben sperare in una maggiore attenzione distributiva futura nei confronti dei numerosi (e ancora celati) gioielli di celluloide provenienti dall’immensa Asia.

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