Era il 26 gennaio del 1467 quando sette pubbliche meretrici, su ordine del Massaro Ducale Gian Giacomo Bebbi e su istanza di Aliprando Arlotti, Sindaco Generale del Comune, entrarono ufficialmente nel Castelletto, il bordello del Comune di Reggio Emilia, finalmente inaugurato e dato in appalto ad un certo Domenico, figlio di Donato da Milano.
Ma cos’era il Castelletto? E, soprattutto, dov’era?
E’ una storia che comincia più di vent’anni prima, tra il 1440 e il 1441 quando il Marchese Niccolò III d’Este sollecitò a più riprese il Comune di Reggio Emilia a trasferire in luogo più acconcio il bordello comunale che si trovava allora sul lato orientale di via dell’Arcipretura, troppo a ridosso della piazza principale e delle case dei Canonici della Cattedrale. Il Comune, ora come allora, se la prese comoda e provò ad individuare diversi luoghi della città ma, forse per controllare meglio quel rilevante cespite di entrata o per le prevedibili problematiche che sorgevano ad avere come vicina una comunità così particolare, soltanto alla fine del 1461 si decise a costruirne uno nuovo ma a ridosso del palazzo comunale, precisamente tra questi e l’edificio delle carceri, più o meno di fronte a quello che doveva essere trasferito.
Questo edificio, che dalla sua struttura tutta chiusa verso l’esterno alla maniera dei castelli prendeva il nome di Castelletto, si trovava in quel piccolo spazio, ora occupato in parte da un cortiletto interno, che va dal muro destro dell’attuale Sala del Tricolore fino al muro che delimita a settentrione il portico di Piazza Casotti, proprio a ridosso delle antiche carceri: piacere e dolore praticamente si toccavano…
Delle prostitute che allietavano i giorni e le notti dei reggiani nel medioevo abbiamo notizie dal 1265 quando, negli Statuti di quell’anno si impedisce loro, comprensibilmente, di abitare in alcune case di Frati Predicatori dove si erano installate e di nuovo negli Statuti del 1268 dove, con poca fortuna vista la situazione ai nostri giorni, si vieta loro di sostare sulla via Regale, l’odierna Via Emilia e di abitare nella città vecchia, con severe pene per chi le alloggia in casa propria, e anche qui sembra che ben poco sia cambiato…
Le difficoltà per far osservare queste disposizioni erano evidentemente tante al punto che il Comune, per porvi rimedio, e forse anche per accendere un cespite redditizio in qualsiasi tempo e congiuntura economica, si decise ad aprire uno proprio bordello da dare in gestione al miglior offerente, che finì per essere allocato proprio nell’odierna via dell’Arcipretura, che prese allora il significativo nome di via del Bordello o del Castelletto.
Certo il Castelletto non ebbe vita facile. Si costruirono addirittura due muri a foggia di quinta scenica negli angoli in alto all’imbocco della via del Castelletto affinché ai passanti – e forse più ancora ai Canonici della Cattedrale che abitavano dal’altra parte della strada – fosse impedita la vista di un edificio dove la dissoluzione morale faceva da padrona; ma questo non bastò e le proteste di chierici e laici pretesero un nuovo trasferimento del bordello comunale che venne attuato nel 1589.
La pezza però, in questo caso, fu certo peggiore del buco perché il Comune, ora come allora in scarsezza di risorse, non volle fare spese per costruire un nuovo edificio da adibire a bordello e così spostò le sue meretrici in alcune casette di sua proprietà in via Campo Samarotto; così le prostitute, sfuggite ai casti occhi dei Canonici, finirono sotto quelli – più o meno casti non sappiamo – dei Monaci dei conventi di San Pietro, di San Marco e di San Domenico, situati tutti nelle vicinanze di via Samarotto. Anche qui non vi fu pace e il Comune, dopo pochissimi tempo, si vide costretto a riaprire il Castelletto.
Di questo bordello comunale oggi non resta altro ricordo della torre che ancora porta il suo nome, posta a fianco della Sala del Tricolore, sulla cui sommità sventola fiera la Bandiera Italiana. E di quelle sette prostitute che per prime entrarono nel Castelletto, per cortesia o privacy come si dice adesso, non farò il nome, che pure ci è stato tramandato. Chi abbia voglia di scoprirlo si rechi pure nell’ Archivio di Stato di Reggio Emilia e guardi quel meraviglioso fondo che è quello delle Provvigioni del Comune di Reggio, a data 26 Gennaio 1467, e sarà soddisfatto.