Il Tricolore a mezz’asta

7 gennaio: il senso perduto di una celebrazione

Daniela Anna Simonazzi

Da anni in occasione delle celebrazioni del 7 gennaio mi chiedo e chiedo a qualche veterano della festa se in realtà i reggiani abbiano a cuore il Tricolore. Le risposte che ricevo sono sempre dubbiose. Le  diatribe che accompagnano il nostro paese oramai da anni fanno sì che l’attenzione mediatica sia incentrata quasi esclusivamente sulla figura istituzionale che presenzia e alle relative rivendicazioni, già annunciate anche per  il 7 gennaio. Certamente senza queste dimostrazioni di piazza la ricorrenza sarebbe monotona e sotto tono, perché, diciamo la verità, la cultura dominante della nostra città, che ora mostra una certa attenzione, in passato non ha mai avuto un forte legame con la bandiera tricolore. Basta leggere le cronache della stampa locale a partire dal dopoguerra per trovare aneddoti e circostanze che avvalorano questa mia opinione e inducono a interrogarsi sul ruolo della ricorrenza.

Oggi più che mai una festa che dovrà concentrarsi- giustamente- sull’attualità. Ruolo difficile quindi quello dell’attuale Presidente del Consiglio che si troverà di fronte una platea di giovani, ai quali non si dovrebbe chiedere una nuova lotta di resistenza contro un nemico invisibile e subdolo che vive nei palazzi, si nasconde dietro le apparenti regole del mercato o della finanza e condiziona pesantemente la loro vita reale. Come ci si può riconoscere nel principio di eguaglianza rappresentato dalla bandiera, svilito dall’enorme divario tra coloro che dovranno privarsi del necessario per salvare l’Italia da un debito pubblico incontrollato e altri ( manager, banchieri, politici..) che non ne risentiranno se non per la privazione di qualche capriccio? Ruolo non facile sarà del resto quello dei contestatori, che pur avendo mille occasioni per alzare la voce faranno un uso strumentale della festa, dimostrando che i luoghi di rappresentanza dei cittadini alla vita del paese non si ritengono efficaci. Del resto è faticoso non sottolineare l’inadeguatezza e la retorica ricorrente nei discorsi delle celebrazioni.

Abbiamo ripetutamente sentito parlare di un tricolore simbolo di unità in un Italia sempre più divisa e litigiosa. Un tricolore che si ispira ai valori della democrazia in un paese che ai luoghi della democrazia ha sostituito la piazza e i salotti televisivi. Un tricolore che dovrebbe suscitare solidarietà in un paese dove i ricchi rimangono ricchi e i poveri diventano sempre più poveri. Cosa è cambiato dall’intervento del presidente del Senato che già due anni fa parlava di riduzione dei costi della politica ? Si è dovuti ricorrere ora (a nostre spese) a un’indagine Istat per dimostrare che i nostri parlamentari hanno gli stipendi più alti in Europa, come se non fosse oramai noto a tutti.

Lasciare che una festa sia festa per ciò che è e non che diventi il luogo deputato alle rivendicazioni  è sempre più improbabile. Forse Monti avrebbe avuto buone ragioni per replicare all’invito “lasciatemi lavorare” ma il suo incarico implica anche il ruolo istituzionale. Avrà così il merito di risparmiarci la parata di coloro che oggi pare abbiano mille suggerimenti e ricette da dare per superare la crisi ma in questi lunghi anni di militanza politica, confortati da buoni compensi, non hanno certo brillato per intuito e lungimiranza. Ricorderemo del loro mandato una stagione politica più dedita al pettegolezzo che all’intenzione concreta di rendere l’Italia un  paese moderno. Non sono comunque gli enormi problemi che troveranno risposta il 7 gennaio, risparmiateci almeno- cari governanti- le mille promesse, a noi ora preme soltanto che vengano mantenute. E confidiamo nella passione che anima gli italiani, ci renda immuni dall’immobilismo che ha caratterizzato questi anni, lasciando irrisolti i problemi che ora gravano enormemente sulle spalle dei cittadini: legislazione lenta, burocrazia opprimente, aggravi fiscali che tendono a colpire i soliti, infrastrutture che mancano, problemi ambientali improrogabili…è un lungo elenco. La speranza è che la crisi possa trasformarsi in un’opportunità: creare un paese di donne e uomini nuovi con tanta voglia di fare meglio e di guardare al futuro con fiducia. Questo è il patriottismo che il 7 gennaio dovrebbe ispirare le istituzioni e animare la piazza.

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