La favola che inizia pressapoco con un : “tranquilli che le banche italiane sono solidissime e soffrono meno di altre la crisi” è una storiella che abbiamo sentito a ripetizione, soprattutto fino a qualche mese fa.
La realtà però sembra essere un’altra. Dopo aver attinto a piene mani (invero, insieme alle altre banche europee) alla generosa offerta della BCE che ha de facto regalato liquidità a tutto il sistema bancario europeo, ecco che il colosso italiano per eccellenza, ossia Unicredit ha decretato il 4 gennaio il prezzo per azione nell’ambito dell’aumento di capitale, resosi necessario per reperire liquidità in un momento in cui la liquidità scarseggia.
Il prezzo è stato fissato in circa 1,95 euro per azione nel rapporto di opzione di due azioni ordinarie di nuova emissione per ogni azione ordinaria già posseduta. In soldoni, l’aumento di capitale è di circa 7,5 miliardi di euro.
Quello però che ha fatto tremare i polsi al titolo azionario è stato il prezzo di sconto. Addirittura il 43% rispetto al prezzo teorico ex delle azioni ordinarie. In pratica significa che secondo il consiglio d’amministrazione di Unicredit, era necessario un forte tasso di sconto per riuscire a sottoscrivere tutti i 7.5 miliardi dell’aumento di capitale, da parte degli investitori.
Ed ecco che la risposta dal mercato equity non si fa certo attendere ed il titolo crolla del 14(!!)% in un’unica seduta. Insomma, attualmente il più grosso colosso bancario italiano sembra avere un grosso problema nel reperire liquidità a prezzi accettabili, mentre il valore esistente continua a raggiungere nuovi minimi.
Ora come ora, non si può certo dire che l’Unicredit sia la miccia che molti analisti temono per un possibile crollo dei mercati del 2012, ma senza dubbio un investitore italiano, che verosimilmente affida alla propria banca i risparmi di una vita ha l’obbligo di fare qualche domanda in più ad essa.
Le banche sembrano essere la croce e la delizia di questo nuovo millennio, da una parte necessarie per mantenere vivo il tessuto economico mondiale, mentre dall’altra parte “portatrici di tutti i mali finanziari”; la verità resta probabilmente nel mezzo. Ma come ho accennato poc’anzi, mai come oggi l’investitore medio deve SAPERE come sta investendo i propri risparmi, e conoscere in maniera più accurata possibile il reale grado di rischio del suo investimento correlato all’effettivo rendimento atteso.
Rimanendo in ambito Unicredit, possiamo notare che in circa 4 anni, ossia dalle vacche grasse del 2007, il valore azionario del gruppo bancario più importante d’Italia è crollato di circa il 90%.
Per questo tendo a sottolineare che frasi come “ma tanto tornerà su” o “ma non si preoccupi, il suo investimento è sano” o ancora “ma le pare che possa fallire?” o “ehh ma sa il mercato va cosi..” NON possono assolutamente piu essere tollerate dall’investitore medio. Si sente ribadire che l’italiano medio deve “ricomprarsi” il proprio debito, io invece credo che l’italiano medio debba iniziare a pretendere di capire in cosa sta realmente investendo i propri risparmi.
E questo, tralasciando le operazioni di facciata, qualche modulo di delibera o qualche altro modulo europeo (vedasi MIFID) non accade purtroppo quasi mai.
Al momento il caso Unicredit è probabilmente solo la punta dell’iceberg, anche perchè moltre altre banche, nei prossimi mesi, a causa dell’aumento dei margini di riserva richiesti dall’Associazione Bancaria Europea dovranno effettuare ulteriori aumenti di capitale.
Per cui cari lettori, PRETENDETE dalle vostre banche una consulenza obiettiva ed estremamente competente e guardate con diffidenza chi vi da una pacca calorosa sulla spalla dicendo “ma si sistemerà tutto caro sig. Rossi”.