Este es Lorenzo. Él ha llegado acà para hacer un viaje antropologico y cultural en nuestro Paìs!” con queste parole, Mercedes, la mamma di Manuel, mi ha presentato ai vicini di casa.
Il fuso orario non si sta facendo particolarmente sentire e la giornata è splendida. Non avevo mai avuto l’occasione di indossare la maglietta il 19 di novembre.
Questa mattina, sceso dall’appartamento giù in strada, ciò che più mi ha colpito è stato il caos dilagante: il rumore assordante dei clacson, gli stretti marciapiedi strabordanti di gente, le porte aperte delle cafeterias che urlavano in strada lo spagnolo dei tg locali… Le persone sembravano tutte estremamente indaffarate in boulevard Castro Barros , nessuno alzava lo sguardo da terra e continuava imperterrito ad essere assorto tra i suoi pensieri. Solamente sulla carreggiata alcune auto, scassate e rumorose, da cui proveniva una musica assordante, trasportavano certi tizi che seguivano ogni tuo movimento. Devo ammetterlo: in queste prime ore passate a Cordoba ho come l’impressione di non essere nel paese più sicuro del mondo. Scuoto la testa e caccio questa debolezza.
Ora sono seduto al tavolo con Mercedes sorseggiando della Quilmes. Parliamo per ore. Mi mette davanti una montagna di libri sulla storia dell’Argentina, finché, per mostrarmi quanto sia esteso il paese, scarta una mappa enorme. Io ascolto in silenzio, fissando quel foglio così colorato. Immagino i coloni sulle rive del Rio de la Plata e mi faccio un’idea di quanto negli anni si siano spinti verso l’interno del continente. Mercedes continua il suo racconto spaziando dalla descrizione della loro Mesopotamia, una terra compresa tra il Paranà e l’Uruguay, due fiumi imponenti, spaventosamente grandi, allo spettacolo che offre l’Iguaçu con le sue Cataratas.
Mercedes ha ora gli occhi lucidi. L’insegnante di storia e geografia di origine italiana fa una pausa chiedendomi di avvicinare la mano e di toccare il suo braccio: ha la pelle d’oca. Mi trasmette tutta la sua emozione dicendomi che non ha mai avuto la possibilità di ospitare un italiano nella sua casa. Nel raccontare la storia del suo paese ad una persona venuta da così lontano, sente il sangue ribollirle nelle vene. Mi lancia un’occhiata facendomi passare un brivido lungo la schiena. Sorridendole, le stringo il braccio.
Le storie sull’Argentina continuano senza sosta. Cerco di intervenire di tanto in tanto per avere più dettagli possibili, saranno preziosi per i prossimi giorni. Passiamo in rapida successione il Nord Ovest con Salta e Jujuy; Corrientes, Misiones e Iguaçu; Mendoza, Bariloche e la Cordillera della Ande; Rosario, Buenos Aires, la Pampa… e la Patagonia.
Si è fatto tardi, fuori fa già buio. Ceniamo divinamente stretti intorno alla tavola. Ora riesco anche io a fare qualche discorso in spagnolo, tra un gesto l’altro. Saluto Mercedes, la ringrazio per il pomeriggio intellettuale e sono già in macchina con Silvi e Nacho, padre di Manuel.
Silvi mi spiega dove siamo, quello che palazzo è e cosa c’era lì prima che ci costruissero la fabbrica dell’Iveco. Io butto lo sguardo fuori dal finestrino, tenendo l’orecchio teso alle sue parole e mi accorgo di quanti siano gli edifici statali in questa Cordoba. Ad un tratto Nacho interrompe bruscamente i miei pensieri e, ridendo, mi chiede: “Conoces el dia de los Ñoquis?” Mi spiega che a Cordoba o forse in tutta l’Argentina, è costume comprare gli gnocchi ogni 29 del mese. Una volta a tavola, il rituale impone di porre del denaro sotto al piatto dove si mangia per attrarre fortuna e prosperità. Pertanto, qualunque giorno sia il 29, nella marea di edifici statali che ci sono a Cordoba è pressoché impossibile trovare qualcuno che lavori: sono tutti in fila al supermercato a comprare los Ñoquis!