Il Graziano che non t’aspetti, quello che a Reggio è in eterna in difficoltà e che invece, nei campi caldi del sud, la fa da padrone. Addirittura contro il suo partito. Addirittura contro calibri del suo partito quali D’Alema, Vendola, Bersani. Solo contro tutti. O quasi. Delrio in realtà, dopo aver ben figurato da vice, studiava da presidente Anci da un po’ di tempo ed i suoi colleghi delle città del centro-nord lo avevano già battezzato loro leader. Ma scendere nel cuore del sud sfidando il sindaco di Bari e tutti i suoi compari e uscirne da trionfatore, ha fatto uscire in modo eclatante quelle caratteristiche psicologiche ed umane che Graziano solo a sprazzi ha fino ad ora lasciato trapelare tra le mura amiche. Innanzitutto è cocciuto, paziente e buonista, strategico al punto giusto, e con la sua vera o apparente bonomìa, lascito di un dna democristiano che Graziano ha dalla nascita ma non per frequentazioni, ammannisce, riunisce, colpisce. Adotta la pace dopo aver preparato la guerra. Un po’ come l’Impero Romano (senza riferimento alcuno ai Prodi).
E’ uno che il piatto della vendetta lo gusta freddo. Anzi gelido, quasi da meritare un giro al microonde affiché non ti si pianti sullo stomaco. Più ti sorride, più devi stare attento, più ti si para amico, più sarebbe meglio ti ponessi delle domande. Eppure ha fatto un figurone. Lui e il suo staff di fedelissimi capeggiati dall’assessore Mimmo Spadoni (ricordato come l’uomo che grazie a facebook battè l’Ansa sulle notizie) e dal capo di Gabinetto Maurizio Battini, figlio d’arte ma pur sempre giovane fino a ieri l’altro semisconosciuto balzato d’improvviso agli oneri-onori di cariche importanti, che a Graziano (e ad altri) deve tutto. Oltre che dal direttore generale del comune di Reggio, Massimo Bonaretti, chiamato a relazionare in qualità d’esperto. Innanzitutto ha rotto qualsiasi schema di bassa anticamera politica, quell’oscuro antro in cui i soliti noti, a dispetto di numeri e speranze popolari, muovono le leve del potere. Poi ha fatto un discorso già pieno zeppo di programmi, punti e tappe da “seguire assieme”. Insomma ha vinto e convinto, come direbbero gli spettri dei commentatori passati a miglior vita dopo decenni di 90esimo minuto. Da Reggio, a nomina avvenuta quando nemmeno in municipio ci credevano più, s’è alzato il peana. Giustamente c’è da dire.
La possibilità che il nostro comune capoluogo conti d’ora in poi di più nella Capitale, è concreto. Ma l’altro lato della medaglia è che la già traballante maggioranza di sala Tricolore possa ulteriormente scricchiolare in presenza, anzi in probabile assenza, più d’una volta a settimana, del sindaco-presidente. Ecco allora il toto-rimpasto che vede principale imputato (pur senza colpe) la vicesindaco Filomena De Sciscio, considerata anello “debole” della catena di giunta. Ed esponente di un’Italia dei Valori certo su cui contare ma fino a mezzogiorno. Luca Vecchi, astro nascente del Pd, è il principale corteggiato (ma non si capisce se sia lui che rifiuti gli inviti o proprio i corteggiamenti non siano mai partiti) per un ingresso a sorpresa. Ma premono anche i partiti minori che scalpitano per qualche poltrona. Delrio, da Brindisi, ha tagliato corto. La giunta va bene così com’è. E, dalla sua posizione particolarmente forte, questa volta non si capisce perché non gli si dovrebbe credere