Un fatto apparentemente da ascrivere alle dinamiche serali di una una festa Pd di fine luglio in aperta campagna, tra afa e zanzare ma che incarna invece lo spirito con cui anche i militanti si approcciano ormai ai dibattiti politici: giovedì sera a Campegine (a due passi da casa Cervi e in un comune dove il Pci, più alta percentuale in Italia, sfiorava a suo tempo l’80% dei consensi) alla kermesse del Pd sarebbe dovuto andare in scena un faccia a faccia sul federalismo. Da una parte Stefano Bonaccini, segretario regionale Pd, dall’altra l’onorevole Angelo Alessandri, segretario regionale della Lega Nord. In mezzo il sottoscritto a moderare. Il tema è attuale ma cade soprattutto in un momento particolarmente caldo della vita del Paese, compressa tra inchieste e scandali di ogni tipo, velleità di riforme elettorali, sirene di urne, segnali sempre più concreti di crepe nelle alleanze, ministeri al nord e sberleffi al Capo dello Stato, primo sì al cosiddetto processo lungo, crisi economiche e via discorrendo. Un piatto particolarmente appetitoso per il popolo di sinistra e buono almeno, se non a risolvere i problemi, a fungere da rito catartico di incazzatura di gruppo nella piccola ma spaziosa arena della festa.
L’onorevole Alessandri aveva già declinato l’invito, il giorno stesso del dibattito, adducendo la scusa di sopraggiunti impegni; restava pur sempre la possibilità di un’intervista a tutto tondo al segretario regionale, giovane e preparato, se non altro un volto semi-nuovo e spendibile in mezzo alla parata di ghigni decrepiti che ammorba il quadro politico di ogni colore. Un solerte annunciatore al microfono invita all’inizio del talk-show, diciamo così, facendosi largo in decibel tra gli schiamazzi dei ristoranti capienti e fumanti e le note rassicuranti del liscio di casa su cui già piroettano molte coppie attempate. Niente, l’arena (di nome più che di fatto) resta deserta. Il sottoscritto avanza allora, nel tentativo di non mandare a vuoto da una parte l’arrivo di Bonaccini dall’altra la comunque encomiabile buona volontà degli organizzatori, una timida proposta di auto-marketing. E propone all’annunciatore-strillone di cambiare al microfono il titolo della serata. Troppo tecnico parlare di federalismo o riforme: proviamo ad andare su una questione che tutti sentono come prioritaria magari condendola con un po’ di prurigine. Vedrete, qualcuno abboccherà all’amo del conduttore e, una volta dentro, la serata vivrà i suoi momenti conseguenti.
Ecco allora che, per le campagne di Campegine, una voce tuona rompendo i timpani dei meccanismi formali che ancora governano la parte seria delle feste Pd: “Tra poco all’arena della festa, il giornalista Gianfranco Parmiggiani intervisterà il segretario Stefano Bonaccini sul tema della questione morale, dal bunga-bunga alle elezioni”. C’è la prospettiva di riconquistare poltrone, ci diciamo facendoci l’un l’altro un inutile coraggio, c’è il richiamo ai movimenti interni alle mutande berlusconiane che assembla immediatamente e da mesi il popolo moralista degli indignados; vedrete qualcuno arriverà. Invece nessuno, o quasi. Arrivano un paio di persone, con l’aria di chi è capitato lì per caso, più che altro per aver sbagliato la strada del ristorante.
Bonaccini che non fa una serata in casa da due mesi e mezzo e viene da un tour de force dibattimentale di un’intera settimana, prende la palla al balzo e decide di lasciare. Il giovane segretario del Pd castelnovese è abbacchiato e si inerpica su due sentieri: il primo addita il qualunquismo apolitico che serpeggia ormai anche tra chi va a votare turandosi bocca, orecchie, naso e soprattutto un altro orifizio collocato sotto la cintola. Il secondo, più strategico, guarda alla collocazione dell’area-dibattiti alla festa Pd di Campegine edizione 2012. In una zona di passaggio, non più decentrato dunque e dove il passante si ritroverà anche nolente.
Uscendo, incrociamo qualche cittadino che si interessa ancora attivamente di politica e che, si direbbe, va a votare per quel partito sotto le cui bandiere sventolanti fisicamente tutti noi (pochi) in quel momento stiamo giacendo. Il loro livello di indignazione, da distribuire equamente a tutti più o meno indistintamente i rappresentanti partitici (a cominciare dai loro) è ben oltre il livello di guardia. Confrontano una tassazione e un’insostenibilità del costo della vita che si classifica ormai come l’anti-materia del costo vomitevole dei Palazzi, intesi come centri di potere e della casta arcobalenata delle sanguisughe e dei parassiti di partito. Gli prudono le mani (fortunatamente disarmate dall’assenza delle ideologie) ma la voce è rotta da uno sdegno misurabile a chili. Ecco cosa non stanno assolutamente capendo aministratori e politicanti vari che si crogiolano (ma fino a quando?) nei loro amorali privilegi, coi loro flebili e interessati cantori di rischi democratici: che la misura non è colma, di più. E che rosicchieranno ancora, tra i fumi dello gnocco fritto e le “Romagne mie”, qualche soldo per il partito. Ma che quel partito, come tutti gli altri ahinoi, non rappresenta più nessuno