Sessantasei anni fa, il 16 luglio, ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico, fu realizzata con “successo” la prima esplosione nucleare (sperimentale) della storia. Vale la pena ricordarla.
ALLE SOGLIE DELL’ERA ATOMICA
Con la scoperta della fissione dell’uranio (1), fatta in Germania nel 1938 da Otto Hahn e Fritz Strassmann nel corso di studi a carattere fondamentale sulla struttura del nucleo atomico, ad alcuni fisici (Fermi, Joliot, Heisenberg) fu chiaro che, se si fosse potuto realizzare un processo (la reazione a catena) che sfruttasse tale fenomeno, si sarebbe potuta liberare una quantità di energia fino ad allora inimmaginabile.
Questa scoperta metteva dunque alla portata di qualunque Stato tecnologicamente sviluppato gli elementi necessari alla costruzione di un’arma senza precedenti. In questo l’arma atomica si differenzia da tutte le altre inventate e costruite in precedenza dall’uomo: idea e progetto sono sorti nella mente di alcuni scienziati, in assenza di sollecitazioni delle autorità civili o militari.
(1) “Fissione” è la rottura del nucleo di uranio in due frammenti di massa intermedia; contemporaneamente vengano emessi due o più neutroni e molta energia (200 MeV).
UN PASSO INDIETRO
Paradossalmente, un aiuto essenziale alla costruzione delle prime bombe atomiche americane venne proprio da Adolf Hitler. Il Cancelliere del Terzo Reich, poco dopo di aver raggiunto il potere (1933), avviò la sua campagna razziale, come anticipato nella sua famosa opera Mein Kampf.
Inizia in Germania la persecuzione antisemita. Nel 1935, con le leggi di Norimberga, gli ebrei sono privati della cittadinanza tedesca.
Molti ebrei lasciarono la Germania nazista e fra questi molti brillanti fisici che in seguito ebbero un ruolo importante nello sviluppo dei nuovi ordigni: Lise Meitner (collaboratrice di Hahn) e Otto Frisch, che interpretarono il fenomeno della fissione e valutarono l’energia che si liberava, Rudolf Peierls e Klaus Fuchs, che in Gran Bretagna svilupparono il primo modello di bomba atomica (Fuchs in seguito passerà informazioni all’Unione Sovietica), i tre fisici ungheresi Leo Szilard, Edward Teller e Johann von Neumann, Hans Bethe, e Albert Einstein. Dall’Italia fascista fuggì Enrico Fermi. Senza il loro contributo difficilmente la bomba atomica sarebbe stata realizzata prima della fine della guerra.
VERSO LA GUERRA
Nel 1938 hanno luogo l’annessione dell’Austria e l’invasione e la spartizione della Cecoslovacchia, in seguito allo sciagurato Patto di Monaco. La politica espansiva e aggressiva di Hitler non lascia più illusioni né alle democrazie occidentali né all’Unione Sovietica.
L’anno seguente il Patto d’Acciaio rafforza l’alleanza fra la Germania nazista e l’Italia fascista, e con il Patto Ribbentrop – Molotov per la spartizione della Polonia fra la Germania e l’Unione Sovietica: si va rapidamente verso la seconda Guerra mondiale (2 settembre 1939).
INTANTO I FISICI ….
Entro pochi mesi dall’annuncio della fissione e dall’interpretazione della Meitner e di Frisch due gruppi di fisici – Enrico Fermi, Szilard e Zinn in America, e Joliot in Francia – dimostrarono che nella fissione dell’uranio si liberavano più di due neutroni, che in linea di principio si poteva realizzare la reazione a catena, e che quindi era possibile sfruttare l’energia nucleare per scopi bellici. Allo stesso risultato giunsero, nello stesso periodo, due allievi di Igor Kurchatov, che in seguito sarebbe diventato il responsabile dei progetti nucleari sovietici.
Nessuno poteva dubitare che se i fisici tedeschi fossero riusciti per primi nell’intento, Hitler non avrebbe avuto remore di alcun tipo nell’utilizzare la bomba atomica (2). Ma le ricerche, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, procedevano a un ritmo lento, mancando i fondi e il coordinamento per un progetto di grandi dimensioni.
Le rapide vittorie degli eserciti tedeschi nei primi due anni di guerra – sconfitta della Polonia e della Francia, occupazione di Olanda, Danimarca e Norvegia – accentuarono le preoccupazioni degli stati democratici e dell’Unione Sovietica (che nel 1941 sarà invasa dalla Germania).
Gli eventi evolvevano precipitosamente, la Germania aveva bloccato le vendite di uranio e le ricerche necessitavano di ingenti finanziamenti, non certo facili da ottenere, per procedere più speditamente. Einstein in persona, su suggerimento di Szilard e di Wigner, indirizzò al presidente Roosevelt la famosa lettera in cui si chiedeva che il governo intraprendesse una rapida azione per il controllo della situazione, affidando a una persona di fiducia il compito di tenere in contatto gli ambienti amministrativi con la comunità scientifica e di ottenere i fondi necessari per la continuazione dei lavori, ormai troppo gravosi per i laboratori universitari dai quali erano partiti.
(2)Storicamente è stato introdotto e adottato il termine bomba atomica; è più appropriato parlare di bomba nucleare e di armi nucleari. Qui le due dizioni vengono usate indifferentemente
IL PROGETTO MANHATTAN
L’attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941) avrebbe potuto rafforzare il proposito di muoversi con decisione, ma ancora per un anno le cose procedettero lentamente.
Il 2 dicembre 1941 il gruppo di Fermi al Metallurgical Laboratory (Met Lab) di Chicago realizzò la reazione nucleare a catena controllata (pila di Fermi). Servirà per progettare i reattori nucleari che produrranno il plutonio (3) che verrà impiegato nell’esperimento di Alamogordo e nella bomba sganciata su Nagasaki.
Nel 1942 l’organizzazione delle ricerche passò sotto il diretto controllo dell’Esercito; Leslie R. Groves, generale del Genio, ne fu nominato responsabile ed ebbe inizio il “Progetto Manhattan”; con il nuovo anno furono avviati i lavori per il nuovo centro che avrebbe realizzato la bomba a Los Alamos, nel New Mexico, e Robert Oppenheimer ne fu nominato direttore.
(3) Il plutonio è un elemento che non esiste in natura (transuranico); come l’isotopo leggero dell’uranio (U235) è fissile, ossia, colpito da neutroni, si spezza in due frammenti più altri neutroni, liberando energia.
LA SCONFITTA DELLA GERMANIA – IL PROGETTO PROCEDE A RITMI FRENETICI
All’inizio del 1944 il servizio di spionaggio britannico giunse alla conclusione che le ricerche tedesche sulla bomba atomica non destavano preoccupazioni. La situazione militare in Europa era ormai tale che il pericolo di una bomba atomica tedesca era cessato, e addirittura si poteva prevedere che la resa della Germania sarebbe giunta prima della disponibilità delle bombe che venivano preparate a Los Alamos. Ciononostante il progetto Manhattan per realizzare la “bomba atomica” proseguì a ritmo frenetico.
Nel frattempo, però, stavano mutando gli obiettivi americani: nel 1943 si cominciò a pensare all’impiego della bomba atomica contro il Giappone. D’altra parte, man mano che si profilava la sconfitta nazista, incominciavano ad emergere i contrasti di interesse fra gli alleati occidentali e l’Unione Sovietica, e anche, in misura più limitata, fra Stati Uniti e Gran Bretagna. In questo nuovo contesto la bomba assumeva anche il valore di strumento politico nelle mani del governo americano.
Ormai l’obiettivo di controllare nel futuro l’energia nucleare e le armi atomiche era diventato altrettanto importante della realizzazione delle bombe prima della fine della guerra. Interessante a questo proposito la dichiarazione rilasciata dal generale Groves nel 1954: “Credo importante dichiarare che, dopo circa due settimane dal momento in cui mi fu affidato il progetto già non mi facevo più alcuna illusione che il nemico non fosse la Russia e che il progetto non fosse portato avanti su queste basi. Naturalmente il presidente ne fu informato.”
Individuiamo qui il secondo obiettivo alla base della proliferazione nucleare, accanto a quello della difesa tramite la dissuasione: l’arma nucleare come strumento della politica estera.
GLI SCIENZIATI CONTRO L’USO DELLA BOMBA
Dissoltosi l’incubo di un’arma nucleare hitleriana, si diffuse fra molti degli scienziati che lavoravano al progetto Manhattan uno stato d’animo del tutto opposto a quello che li aveva guidati fino ad allora. Leo Szilard scrisse più tardi: “Nel 1945, quando cessammo di preoccuparci di quello che i tedeschi ci avrebbero potuto fare, incominciammo a domandarci con apprensione che cosa il governo degli Stati Uniti avrebbe potuto fare ad altri paesi.” Quasi nessuno però ebbe la forza morale di chiedere l’arresto immediato della fabbricazione dell’arma, e solo uno, Joseph Rotblat, decise di abbandonare il progetto Manhattan (dicembre del 1944)
Molti scienziati chiesero che la bomba non fosse impiegata contro le città del Giappone, ma non furono ascoltati. Fin dall’agosto 1944 Niels Bohr, il grande fisico danese, aveva presentato al presidente Roosevelt un memorandum per metterlo in guardia contro “la terrificante prospettiva di una competizione futura fra gli Stati per un’arma così formidabile.” La sola speranza di evitare la corsa agli armamenti nucleari nel dopoguerra era, secondo Bohr, di raggiungere un accordo con l’Unione Sovietica sul futuro controllo dell’energia atomica prima che la guerra finisse e che la bomba venisse sperimentata. Solo così, attraverso la creazione della bomba, la scienza avrebbe potuto contribuire a dare nel futuro un fondamento solido alla pace.
La storia della corsa agli armamenti nucleari nel dopo guerra ha confermato le fosche previsioni di Bohr. Da un punto di vista più cinico ha dato ragione anche a Roosevelt e a Churchill: imponendo un costosissimo riarmo all’URSS, la corsa agli armamenti ha contribuito allo sfacelo economico e al crollo del regime sovietico.
IL TEST DI ALAMOGORDO (“TRINITY”)
Con la fine dell’anno la realizzazione concreta delle bombe si avvicinava; si prevedeva che due bombe fossero pronte per il 1° agosto 1945. Le istruzioni per allestire gli aerei che avrebbero dovuto lanciarle sul Giappone e per addestrare gli equipaggi erano state date. Nessuno, a livello politico o militare, dubitava ormai della necessità di usarle in qualche modo prima della fine della guerra, se si fossero rese disponibili.
Il 16 luglio 1945 gli scienziati ebbero modo di constatare quanto la loro arma fosse potente con il test di Alamogordo in cui fu fatta esplodere una bomba al plutonio, come quella che poi sarà sganciata su Nagasaki (quella di Hiroshima era basata sulla fissione dell’uranio 235). L’energia generata fu stimata equivalente a quella di un’esplosione di quindicimila-ventimila tonnellate di tritolo.
Quando le notizie sull’esito positivo dell’esperimento lo raggiunsero alla Conferenza di Potsdam dei Tre Grandi (17 luglio/2 agosto), il presidente Truman apparve visibilmente esultante. Il ministro della guerra H.L. Stimson notò che Truman “era enormemente rallegrato dalla notizia e quando ci vedevamo non faceva altro che parlarmene. Diceva che gli aveva dato un senso di sicurezza completamente nuovo.” Il giorno dopo aver ricevuto il rapporto completo della prova, Truman cambiò il modo di condurre i negoziati con Stalin. Secondo Churchill, il presidente “arrivò alla riunione dopo aver letto il rapporto e sembrava un altro uomo”. Fu drastico a imporre dei limiti agli interventi dei sovietici e, in generale, dominò da padrone l’intera riunione.
Dunque, l’esperimento di Alamogordo, il coronamento dell’intenso sforzo condotto per tre anni dagli scienziati e dai tecnici del progetto Manhattan, fu anche il primo atto della diplomazia nucleare. Meno di due settimane più tardi, il 6 agosto a Hiroshima, si sarebbe passati dalla diplomazia incruenta all’azione diretta.
Ha collaborato alla stesura dell’articolo Francesco Lenci che insieme al professor Fieschi fa parte del consiglio scientifico della Unione Scienziati per il Disarmo (USPID)