La storia del cinema è (ri)passata da Parma. O più probabilmente non è mai andata via, considerato che Bernardo Bertolucci e la sua famiglia sono parte integrante della storia artistica della città. Il regista 73enne ha ricevuto ieri la laurea honoris causa in Storia e critica delle arti e dello spettacolo, nel corso di una cerimonia ufficiale e solenne nel Teatro Regio.
Un omaggio della città a uno dei suoi figli più illustri. Ma soprattutto un vuoto finalmente colmato. Vista la caratura internazionale di Bernardo Bertolucci, di suo padre Attilio e di suo fratello Giuseppe, sarebbe stato lecito attendersi una maggiore attenzione negli ultimi decenni. Basti ricordare che solo con L’ultimo imperatore, nel 1987, Bertolucci vinse nove premi Oscar, tra cui quelli per il miglior film e la migliore regia, e altrettanti David di Donatello.
Ma quella di ieri è stata soprattutto una giornata di ricordo delle opere più “parmigiane” di Bertolucci, quindi degli albori della sua carriera artistica.
LECTIO MAGISTRALIS
“Lasciatemi esprimere la mia immensa gratitudine all’università di Parma – ha esordito il regista – e a questo teatro pieno di parmigiani. Non ho mai fatto l’università ma ho ricevuto questa meravigliosa laurea in un luogo speciale come il teatro Regio, identico al 1962-63, come appare nel mio film Prima della Rivoluzione che ha appena compiuto 50 anni”.
Bernardo Bertolucci è il primo laureato dell’anno accademico 2014-2015, inaugurato per la prima volta fuori dalle mura dell’ateneo. “Quando ero studente a Roma, la sera andavo al ristorante a sentire i discorsi tra Pasolini, Moravia, Adriana Asti. Mio padre Attilio mi diceva: Ma tu non vai all’università? Sì, rispondevo, ma mi laureerò da vecchio. Lo sapevo già”.
Nel corso della cerimonia sono stati proiettati vari spezzoni, tra cui il film Casarola di Lorenzo Castore, con frammenti girati da Antonio Marchi e dallo stesso Bertolucci nella casa di famiglia e d’origine a Casarola sull’Appennino parmense. A seguire, una carrellata di omaggi e ricordi dei grandi del cinema e dello spettacolo italiano.
“Mio padre viveva i miei film come opere sue – rivela il regista – non che volesse impadronirsene: si entusiasmava. E si infuriava e se la prendeva quando leggeva le critiche negative. Mio padre ci ha fatto vivere in quella grande mistificazione che è la poesia. L’imprinting della mia infanzia, vissuta in una Parma colta e cinematografica”. Una Parma legata al cinema, raccontata da Francesco Barilli – protagonista di Prima della Rivoluzione, ieri sul palco in veste inconsueta di cerimoniere – nel documentario Poltrone Rosse. Parma e il cinema.
“A Parma si parlava di cinema, e si faceva cinema – ancora Bertolucci – c’erano Pietrino Bianchi, Zavattini, Calzolari, Fornari. Nel ‘53 si tenne il primo convegno del neorealismo. Un contesto in cui mi sembra naturale che abbia voluto fare cinema.
Quando ci trasferimmo a Roma lo vivevo come un esilio. I volti dei genitori dei miei compagni di classe, quasi tutti impiegati nei ministeri, erano meno epici di quelli dei contadini di Baccanelli, la frazione a pochi chilometri da Parma in cui prima vivevamo”.
Roma è anche il mondo in cui Bertolucci è passato da studente universitario ai set cinematografici. “Sono stato un privilegiato, lo so – prosegue il regista rievocando i giorni come aiuto regista di Pasolini – potevo permettermi una furia mimetica e scrivere poesie come le sue. Lui diceva che io lo vedevo come un padre, e che per quello mi comportavo come un ribelle con lui”.
Infine l’omaggio al fratello Giuseppe, regista teatrale e cinematografico scomparso nel 2012. “È stato il protagonista del mio primo film La teleferica, girato quanto avevo 16 anni e poi andato perduto. Tre bambini alla ricerca di una teleferica tra i boschi di castagni: mio fratello Giuseppe e le cuginette Marta e Ninì. Lui mi seguiva mite, con lo sguardo bellissimo. Giuseppe era bellissimo”. E alla madre, Ninetta Giovanardi, a cui il regista dedica la poesia paterna La rosa bianca: “Coglierò per te l’ultima rosa del giardino, la rosa bianca che fiorisce nelle prime nebbie”.
“Grazie Parma – ha concluso il regista rivolto al teatro, in standing ovation – ho scoperto che il giallo imperiale dell’imperatore di Pechino è identico al Giallo Parma”.