Un po’ come quando si paventa e allo stesso tempo si teme il confronto di un importante colloquio di lavoro, da un lato il terrore del cambiamento e il timore dell’ennesima umiliazione, dall’altro la consapevolezza che potrebbe esserci in serbo la svolta appena dietro l’angolo, ecco: la solenne bocciatura delle ennesime quote rosa in sede di discussione sulla nuova legge elettorale ci fa la medesima impressione. Ovvero, contemporaneamente il sollievo per avere schivato un grave ed evidente pericolo, e un dispiacere per una opportunità di cambiamento perduta.
Che nel nostro Bel Paese non esista una parità di genere, è, o dovrebbe essere, evidentissimo a tutti. Le donne approdano in media a mestieri meno professionalizzanti, meno importanti, meno retribuiti con molta meno fatica di quanto sarebbe lecito in base alla effettiva capacità di contribuzione lavorativa; presiedono a decisioni di minore importanza, gestiscono realtà maggiormente sacrificabili e, in generale, il loro parere è molto meno considerato quando si parla di cose “serie”. Le pari opportunità, così tanto ben sbandierate attraverso proclami e designazioni che di sensato hanno spesso solo il nome, neppure lo spirito, sono ancora al di là da venire, e quelli tra noi che pensano che una donna possa ben essere un ottimo cardiochirurgo – scusateci, ma in certi frangenti preferiamo un buon chirurgo quale che sia la declinazione, il colore della pelle o la musica che ascolta, con l’eccezione di Povia, beninteso – si trovano di fronte all’evidenza dei fatti: le donne, per motivi culturali e di protezionismo professionale prima ancora che biologici, sono spesso tagliate fuori.
Ovviamente (forse), le quote rosa, e già il nome è passabilmente ributtante, non si capisce in quale modo possano porre un qualsiasi rimedio a ciò, senza causare ulteriori gravissimi problemi. Si tratta molto semplicemente della versione più facile, superficiale e immediatamente percorribile di quel genere di cose che cumulativamente vanno sotto il nome di “azioni positive”, e che potrebbero consistere in una legislazione più attenta al mobbing, in programmi di inserimento intelligenti, ricerche finalmente degne di questo nome, sovvenzioni mirate e legate al risultato per l’imprenditoria, orientamento scolastico verso corsi di studio seriamente professionalizzanti e molto, molto altro. Ma le quote rosa sono molto più semplici, economiche e spendibili sui giornaletti di mezzo mondo. Una lista obbligata alla parità di genere non risolverebbe il problema della parità di opportunità, ma al contrario darebbe la stura ad una forte crescita dell’opportunismo: in quanto donna, o uomo, o del Partito Tale o Talaltro, per quanto tu possa essere superficiale, rozzo, ignorante e inetto, se ti sai spendere nel giusto collegio hai un signor posto di lavoro assicurato. Con buona pace di quanti, capaci, di qualunque sesso, restano a guardare esterrefatti l’ennesimo scempio perpetrato sotto il nome di “democrazia”.