“Hanno vinto gli italiani, ha vinto il governo” hanno esultato i ministri del Pdl Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo e Maurizio Lupi. “Abbiamo fatto una scelta molto coraggiosa che serve a venire incontro alle richieste dei cittadini” ha commentato il premier Enrico Letta. Via l’odiata Imu grazie alle larghe intese, ma non solo: ci sono anche il piano casa per i mutui agevolati, la deducibilità per le imprese, la riduzione del prelievo sugli affitti concordati e i nuovi fondi per la cassa integrazione. Tutti provvedimenti che in teoria vanno nella direzione della riduzione della pressione fiscale e di una maggiore attenzione verso famiglie, imprese e disoccupati.
Ma le cose stanno realmente in questi termini? In realtà no. O meglio, non è assolutamente scontato che gli italiani pagheranno meno tasse. Dal 1 gennaio 2014 infatti l’Imu sarà sostituita dalla cosiddetta “service tax”, in cui confluiranno anche la tassa sui rifiuti e quella nuova sui servizi comunali indivisibili (come l’illuminazione, la polizia locale). Era già accaduto nel ’97 con l’Irap, la tassa regionale sulle attività produttive nata per unificare una decina di tributi che si è trasformata in una vera e propria zavorra per le imprese.
Ma c’è un particolare che non ha avuto il giusto risalto: saranno i sindaci a stabilire entità e modalità di applicazione della service tax, sul modello del federalismo fiscale. E a guardare i precedenti, dobbiamo prepararci alla stangata. Tra il 1992, quando sono stati avviati i primi decreti sul decentramento amministrativo, e il 2012, le imposte a livello centrale sono aumentate del 95% (da 186 a 362 miliardi) mente quelle riconducibili alle amministrazioni locali siano cresciute da 18 a 108 miliardi, con un eccezionale incremento di oltre il 500% .