25 febbraio 2013: prove democratiche di rivoluzione

Tempesta perfetta: trionfa Grillo, rinasce il Cavaliere, si suicida il Pd. Chiude l’agendina Monti e scompaiono Fini, Casini e Lega. Si grida all’ingovernabilità ma è una vittoria dal basso

Alcune riflessioni a caldo mentre la macchina elettorale continua a sfornare i dati elettorali. Ci sono alcune considerazioni che non si possono confutare e sono, in ordine casuale ma paritetiche per importanza: la vittoria di Grillo e compagnia sconosciuta, fino a ieri almeno contro tutti e tutto, sbeffeggiati dai media e bollati come “populismo” dai politici tradizionali che vivendo in un eldorado morente non si rendono conto da decenni dei malumori della piazza. Poi l’incredibile (almeno agli ottusi) rimonta del Cavaliere cui probabilmente sarebbero bastate un paio di settimane ulteriori per battere della grossa un incomprensibile Pd. Quindi la sconfitta ai limiti del suicidio di un Partito democratico che sconta, oltre ai personalismi dei suoi tanti non-leader, il peccato d’origine di una formazione di fatto mai nata e comunque pessimamente amalgamata.

In tono minore ma purtuttavia assai significativa: la sonora bocciatura dell’agenda Monti e dei suoi rigori europei a spese degli Italiani, un mix di sbandierata serietà (sui conti altrui) e miopia nel rimandare a tempo indeterminato i motivi della ripresa e dei tagli reali alla vergognosa macchina della spesa pubblica. L’annichilimento finale del parassitismo-parossismo di figure quali Casini e Fini e il buco nell’acqua di personaggi in cerca di voti, ancor prima che d’autore, come Ingroia alla vana e disperata ricerca dell’eredità dipietrina. Travolta dagli scandali, si appresta a dire addio all’agone politico (a meno di una riforma urgentissima) anche la Lega Nord, oggi più che mai suddita e subalterna al Pitone di Arcore.

Questa la scontata analisi. E mentre i grillini assicurano che non ci saranno inciuci, si piange per la presunta ingovernabilità a fronte di cotanti risultati e la conseguente batosta di Spread e Borsa che rischierebbero di riportare indietro il Paese all’età dello scambio in natura. O, guardandoci a fianco, alla situazione della Grecia. Sarà; certo è che mirando alla storia anche recente, pare evidente che le rivoluzioni o nascono dal basso e vengono in qualche modo incanalate attraverso procedimenti democratici come appunto le elezioni (e anche queste elezioni) o sono dolori veri. E che il sistema partitico italiano sia ormai ben oltre una fisiologica degenerazione consentita, è ormai noto a tutti da molto tempo. Ma questa tornata elettorale, per quel che può contare visti i numeri, ci suggerisce un’altra verità, assai confortante. I meccanismi tradizionali di chiamata alle urne e raccolta del consenso stanno profondamente cambiando: la rete oggi ci ha detto di contare molto, molto di più di giornali e tivù. Anzi di essere la principale fonte informativa almeno per le nuove generazioni e di essere destinata dunque a soppiantare in tutto e per tutto, nel volgere di non molti anni, i veicoli classici di approccio all’informazione-formazione pubblica. Se ne favoleggiava da tempo, questo è il primo segnale tangibile.

Ci sia consentita alla fine anche un’autoconsiderazione comportamentale sulla posta in palio e un’auto-pacca sulla spalla (di quelle che si rifilano agli amici brontoloni per non tirare troppo alle lunghe la conversazione) per noi di 7per24, poco inclini alle autocelebrazioni, molto più alle autocritiche: sfogliando le pagine politiche del nostro magazine, anche il lettore meno accorto si sarà appunto “accorto” che gran parte dello scenario era prefigurato dalla linea editoriale. Abbiamo cercato di raccogliere “populisticamente” (come direbbero i trombati tromboni) i mali di pancia della gente grillina; avvertito l’opinione pubblica che la campagna elettorale, come in un campo di calcio, stava restituendo una relativa vittoria a Berlusconi e il Pd che si stava predisponendo per l’ennesimo autodelitto perfetto. E le agendine Monti di tenere in serbo un ultimo sbuffo di inchiostro per apporre la parola “fine” nel proprio risvolto di copertina. Per una volta ne abbiamo azzeccato una mezza; ma non andiamo per questo a letto contenti. La pestata è sempre dietro l’angolo e domani è già un altro giorno

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