Caro Gianfranco, mi fa piacere l’interessamento che, alla tua maniera, dimostri per il libro che ho pubblicato di recente. Premetto per chiarezza verso tutti, e a scanso di imbarazzi pre-elettorali, che “In politica con più fede” sogna un partito che non c’è e tratta la questione in maniera del tutto personale, così come a titolo personale scrivo queste righe da pubblicare in risposta alle tue osservazioni critiche.
Passo dunque al “contrattacco”, col sorriso sulle labbra, s’intende.
Anzitutto, tu spacci per assurda o anacronistica la “necessità dei cattolici in politica”, distinguendo la presenza nella vita pubblica e sociale. Come dire: ok ai cattolici “impegnati”, basta che non si candidino come tali, viste le figuracce dell’ultimo ventennio. In quest’Anno della fede, a 50 anni dall’indizione del Concilio Vaticano II, ti cito solo alcune righe della “Gaudium et Spes” (numero 75): “Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare nei fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità”. Niente di eclatante, dirai. Però è una “conseguenza” della fede. Non tutti i cristiani (anch’io, nel sottotitolo del libro, ho preferito parlare di cristiani, come discepoli di Cristo, laici battezzati; “cattolico” è diventata ahinoi un’etichetta, pure un po’ sbiadita) avranno la vocazione all’elettorato passivo, ma tutti “devono” contribuire al bene comune. Quindi per il battezzato la presa in carico della politica (“I care”) è proprio una necessità, per quanto sgradita possa risultare, com’è stato per il sottoscritto, arrivato alla soglia dei quarant’anni pieno di sensi di colpa e di omissioni d’interesse per le italiche partitocrazie.
In questo senso scrivi bene che ho deciso “un improvviso riscatto”. Non così improvviso, in verità, perché mi sono macerato alcuni anni prima di denunciare il mio spaesamento e il mio desiderio di una “nuova generazione” di cristiani in politica. E la causa scatenante, come hai colto, è stata proprio la delusione per il crescente scollamento tra i contenuti della fede e quelli della vita pubblica. La rarefazione della coerenza, l’insignificanza della testimonianza cristiana nel mondo, possiamo trovare tutti i sinonimi del dizionario ma il senso è quello.
Nel capoverso che dedichi alle domande retoriche e alle risposte scontate, scrivi forse involontariamente quella che è la base indispensabile per un’eventuale ripartenza di una presenza organizzata dei cristiani nella vita politica attiva. Dico “forse involontariamente” perché si capisce che tu – come altri che hanno letto il libro e hanno obiettato sul punto – non credi fattibile, né comunque utile in questa fase storica, un nuovo partito dei cristiani. Comunque la si pensi, la base è proprio quello che dici tu: riconoscere il fallimento. Della Democrazia Cristiana ultima versione, e così pure di un modello di gestione clientelare della cosa pubblica. Ammettere la strumentalizzazione dell’aggettivo “cattolico” per opportunismi e interessi di bottega, la sudditanza agli ingranaggi di un sistema in cui spesso i “cattolici” non hanno fatto valere la necessaria differenza cristiana, ma si sono accodati, conformati, omologati per loro tornaconti.
Il libro che ho scritto parla della fede, prima che dei partiti, perché a mio giudizio solo dalla conversione del cuore, cioè da un’interiorità pacificata e rinnovata da Cristo, può venire qualcosa di veramente “nuovo”, anche in politica. Non dirmi che faccio catechismo, caso mai che sono un ingenuo. Ma bisogna, se si vuole, ripartire da lì: dal cuore dell’uomo, quindi anche dal “nostro” (non solo da quello degli “avversari”), da cui provengono le ipocrisie e le codardie che tolgono “sapore” al sale della fede. Se si vuole, certo. Si può anche scegliere di non farci i conti, con l’alterità della fede (la “doppia cittadinanza” del credente), e fermarsi al lamento o alla polemica.
Non confondere l’ispirazione cristiana, che oggi è assente dal Dna di tutti i movimenti e i partiti sulla scena, con la difesa integralista o la rivendicazione confessionale di una cristianità che non esiste più. Non è in discussione la “laicità” con cui devono agire elettori ed eletti, cristiani compresi.
Però il nodo, caro Gianfranco, è proprio la fede, nella sua perenne attualità. Alla fine del tuo pirotecnico discorso mi proponi di barattarla con l’onestà. Ma si può benissimo essere onesti e optare per il quieto vivere. La fede, che presuppone e integra l’onestà (in primis con se stessi), è molto di più: è complicarsi la vita per servire un Ideale (vivente) di fratellanza universale, è promuovere insieme l’umano e il divino in un mondo in grave crisi di etica e di stili di vita, è affidamento coraggioso a una Parola che porta salvezza a “tutti gli uomini”, anche in questo terzo millennio cristiano.
Nel 2013 l’unità dei cristiani in politica appare ad alcuni una nostalgia, ad altri una iattura, a molti un’utopia. Per questo ho scritto, e continuo a pensare, che ci sia bisogno di più fede per trovare una strada nuova nel deserto di questo tempo individualista.
Chissà che non ci sia occasione di riparlarne. Ti saluto con amicizia,
Edoardo Tincani