E siamo così giunti nel terzo millennio, in cui un nuovo straordinario impulso all’alfabetizzazione e alla comunicazione di massa è stato reso possibile dalla rivoluzione digitale di internet. Ma, contestualmente, le barbarie in odor di ortodossia continuano, siano esse lapidazioni per adulterio, ripudi o burqa. Non di meno sopravvivono fenomeni “culturali” (curioso sarcasmo lessicale) quali l’infibulazione o l’aborto selettivo. La tentazione di banalizzare queste violenze come rudi costumanze di paesi quarto-mondiali, destinate all’oblio della storia, viene esorcizzata da fatti di attualità, nell’occidente civilizzato, quali il volantino sessuofobico della bacheca di San Terenzo a Lerici. A distanza di un mese dalla giornata mondiale contro il femminicidio, i numeri ribadiscono che i moti dell’animo umano sono immanenti e immutati dal paleolitico; il progresso parrebbe possibile solo secondo logiche quantitative, di strumenti, di accelerazione spazio-temporale, ma che non avallano una vera evoluzione psichica dei creatori della Venere di Willendorf.
Secondo il rapporto del Panos Institute, la violenza sulle donne è la prima causa di morte, più del cancro e della guerra, mentre secondo le ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno una donna su cinque ha subito, durante la sua vita, abusi fisici o sessuali da parte di un uomo (tipicamente marito, padre, amico, collega di lavoro o di studio). In Italia, dove le violenze domestiche sono la prima causa di morte, una donna su tre subisce molestie fisiche o sessuali nel corso della propria esistenza. Tutto ciò senza menzionare le forme di violenza psicologica che riguardano le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni (e conseguente reticenza), le forti limitazioni economiche subite per opera del partner. Il rifiuto e l’abbandono sono dei tarli e, dopo la rottura, nei primi tre mesi il rischio per le donne è massimo: in questo lasso di tempo avvengono la metà degli omicidi. E mentre mi interrogo sulla ragione (altro paradosso linguistico) di questo stillicidio di sangue, mi sovviene una bella canzone di Ivano Fossati intitolata “Lunario di Settembre” e sottotitolata “Il processo di Nogaredo”. Il brano (coautrice del testo è Anna Lamberti Bocconi che prende spunto da documenti storici, narranti di uno degli ultimi processi di stregoneria nel Trentino del XVII secolo) ha un inciso davvero emozionante. La musica si dilata soavemente dal RE minore al FA maggiore. La dinamica del pezzo si appresta ad un vibrante crescendo, mentre l’arringa dell’inquisitore diventa dialogo con una delle imputate. Il primo, tra metafore astronomiche e trite minacce, con un fare più intimo, concupiscente, cerca di strapparle di bocca quello che nemmeno le torture infinite sono riuscite ad ottenere. La seconda, pienamente consapevole e per questo doppiamente sofferente nelle carni e nello spirito, lo chiosa così:
“…Ma voglio dirti la verità, dal lato brutto cui non si rimedia.
Tu non capisci, è questo il grande male.
Io non ti amo, è questa la tragedia.”
In questa strofa, che trovo di un lirismo e di una potenza semantica sublimi, c’è sintetizzata una questione cardine: la negazione dell’amore. L’amore che si declina secondo la libertà di coscienza e di autodeterminazione, come desiderio metafisico non come bisogno materiale, come spinta alla relazione perché unico strumento di conoscenza del sé e dell’altro da sé. L’amore come qualifica della propria esistenza, come rifiuto del fondamentalismo e dell’egoismo (il grande male), come stato di grazia che ti fa cavalcare a fianco della verità anziché esserne travolto (la tragedia). L’amore negato è quello del feticismo, della sussidiarietà, del possesso (l’inquisitore). L’amore affermato è quello della consapevolezza, dell’empatia e del confronto (l’imputata). Ai maschi votati alla ricerca di alibi morali e dell’avere, piuttosto che alla pienezza del proprio essere, lascio un aforisma di Ugo di San Vittore, filosofo medievale e beato della Chiesa cattolica: “Nec domina, nec ancilla, sed socia”. Considerate (e amate) la donna non come padrona, né come schiava, ma come compagna. Contribuirete, oltre che a sostanziare la vostra vita, a rendere meno utopica la speranza di un genere umano migliore.
(fine)