Quanto sta accadendo in questi mesi a Reggio Emilia è il contrario esatto della politica. La politica si fa mettendoci la faccia, confrontandosi con la cittadinanza, assumendo delle decisioni al termine di un percorso aperto, normato, in chiaro.
Quello che accade a Reggio Emilia da troppo tempo è, invece, l’esatto opposto: si dà colpevolmente credito alla versione di persone imputate, anziché stigmatizzarne le esternazioni e costringerle a rispondere sulle contestazioni che vengono loro mosse dalla magistratura. Ci si attacca a dossier anonimi, a ricostruzioni insultanti e mai verificate contro le quali, anche in questo caso, sono partite denunce.
Le opposizioni, usando questo metodo che confina molto da vicino con la macchina del fango si assumono una responsabilità gravissima. Se il dibattito futuro di Reggio vedrà da una parte chi agisce alla luce del sole e, dall’altra, chi non ha più nulla da perdere e trama nell’ombra, inquina i pozzi del confronto democratico e costruisce dossier, i cittadini sapranno molto bene da che parte stare. Ci riflettano bene, certi consiglieri comunali che compulsano comunicati stampa: in gioco non ci sono un pugno di voti, ma le basi del
confronto democratico, sancite dalla Costituzione.
Il Partito Democratico della città ribadisce con forza il suo pieno e convinto sostegno ai vertici istituzionali reggiani e rifiuta in toto questo metodo: non ci piegheremo mai a dibattere con imputati, intrallazzatori, né con chi prende il loro veleno e cerca di dargli dignità sulla scena pubblica. Forse otterranno qualche titolo a nove colonne, ma Reggio ha una lunga storia democratica, la città reale non si fiderà mai di chi, pur di ottenere visibilità, è disposto a tutto, anche a digerire le infamie di una banda di malfattori.
La lotta alla mafia è la battaglia trasversale di tutti gli onesti contro i disonesti. Chi dice altro mente, sapendo di mentire.
Sul tema urbanistico, tanto dibattuto in queste settimane, va precisato che una variante una delocalizzazione o addirittura un piano regolatore sono atti che richiedono anni di lavoro. L’istruttoria tecnica a un certo punto lascia il processo alla gestione politica di un assessore , alla deliberazione di una giunta, alla verifica degli atti delle commissioni consigliati, al parere delle circoscrizioni, di altri organi compresa la Provincia ed infine al consiglio comunale.
L’atto stesso una volta adottato viene pubblicato, può essere oggetto di osservazioni e alla fine viene riapprovato da giunta e consiglio dopo aver di nuovo raccolto tutti i relativi pareri. Il processo decisionale amministrativo in materia urbanistica è pertanto lungo e complesso, regolato per legge lasciando ben pochi spazi di discrezionalità a qualsivoglia funzionario.
Di converso si stanno riutilizzando ricostruzioni parziali, del tutto incomplete e strumentalizzate ad arte per costruire teoremi di colpevolezza trasformando atti legittimi in condanne mediatiche e linciaggi personali. Non si capisce quale sia lo scoop e nemmeno la reazione scomposta di chi vorrebbe la “santa inquisizione” a prescindere da qualunque riscontro.
Attorno a tutto questo preoccupa, e tanto, l’intervento non meglio precisato di “servizi segreti”, di costruttori di dossier, l’emergere di intercettazioni in cui si citano uomini delle forze dell’ordine che andrebbero a fare “regalini” a chi progetta ricatti contro un ministro della Repubblica. Su tutto ciò siamo in attesa dei riscontri degli esposti presentati. Né il ministro Graziano Delrio né l’ex dirigente Maria Sergio sono indagati. Ma questo viene messo (quasi) sempre fra parentesi. Meglio sparare allusioni, presunti illeciti mai verificati, meglio diffondere la cultura del sospetto.
Un tentativo palese di allontanarsi dalle sentenze di rinvio a giudizio ed a quanto sta emergendo nel processo Aemilia.
Ci dà comunque serenità il sapere che, a capo delle Istituzioni statali, delle Forze dell’ordine deputate all’ordine pubblico reggiano, vi sono persone di valore seriamente impegnate contro la criminalità.