Non sappiamo quanto, nei fatti di presunte violenze di massa (più o meno organizzate) a Colonia da parte di islamici su donne indifese, ci sia di mediaticamente pompato e quanto di reale. E francamente, ai fini di un tentativo di risoluzione almeno parziale del problema di fondo (restando in casa nostra) che è l’idea da perseguire a tutti i costi una società multiculturale, conta davvero poco.
Perché è sulla base di questa chimera controproducente, irrispettosa dei nostri diritti e dei doveri altrui, ed ontologicamente demenziale che vengono poi declinate le scelte quotidiane dei nostri amministratori. Dai cui profili social non a caso tracimano con crescente frequenza rosari di stupidità varie, frutto di scarsa cultura sull’argomento, completa assenza di viaggi e probabilmente anche fievole passione.
Esiste una sola strada, aldilà delle posizioni di rendita (le sole che contano per lorsignori) di destra e sinistra, per avvicinarci il più possibile ad una società multietnica a bassa frequenza di tensioni sociali e a limitata produzione di razzismo: ed è una comunità monoculturale che rispetti e dia ogni possibilità di espressione alle diversità e ricchezze etniche nella misura in cui esse siano compatibili (o accettino il quadro di riferimento delle regole) coi valori fondanti la collettività ospitante. Punto.
Puoi adottare il “politicamente corretto” finché vuoi ma quando si parla di cultura della “integrazione”, ha da intendersi l’integrazione coi valori della nostra cultura, in cos’altro altrimenti? Che non è neutra per sua natura, ma il risultato di storia, leggi, religione. Ed allora, nel caso specifico da cui siamo partiti (e cercando di spiegare l’assunto iniziale): gli immigrati regolari o ragolarizzandi devono godere degli stessi diritti e delle stesse opportunità degli altri ma non si deve esitare a pretendere dai maschi islamici che non trattino le loro donne alla stregua di animali (come avviene nella stragrande maggioranza dei Paesi d’origine) guardacaso in base alla loro cultura, in questo caso almeno del tutto incompatibile (si spera sia condivisibile da tutti) con la nostra.
Nelle loro famiglie le mogli abbiano accesso alla lingua italiana e godano di libertà di movimento; che l’obbligo scolastico dei minori sia rigorosamente osservato da entrambi i sessi; che le adolescenti non siano rispedite “a casa” per contrarre matrimoni combinati e via discorrendo (come invece avviene, ahinoi, pressoché regolarmente).
Sempre ammesso e non concesso che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo venga considerata meglio della shari’a e che ci stiano davvero a cuore le sorti di quegli uomini e di quelle donne, nostri fratelli e sorelle, e non sventolati come copertura politica parlando a vanvera di mondi senza barriere o quote rose, che so, nei salotti buoni di Lilli Gruber.