Battutacce a parte, tipo “è stato scelto perché non potrà raccomandare tutti quei figli”, la nomina di Graziano Delrio alla poltrona già di Maurizio Lupi, gode di una doppia interpretazione. Matteo Renzi mette a capo delle Infrastrutture un suo fedelissimo, o quanto meno ancora fedele, e al contempo lo allontana dalle beghe dirette di Palazzo Chigi dove il suo staff litigava un giorno sì e l’altro pure con la truppa toscana. Liberando l’area per un altro fedele. o fedelissimo, Luca Lotti. Insomma tutti gli uomini al posto giusto nel momento più opportuno.
E così l’unico ministro renziano del defunto governo Letta diventa l’ultimo ministro sempre renziano (forse un po’ meno però) del governo Renzi. Capace di crescere, resistere e sopravvivere a qualsiasi stormir di Primo Ministro. Tenace, pervicace, “problem solving”, gran lavoratore, discreto, dossettiano, cattorottamatore, come l’ha dipinto oggi una teoria di articoli vagamente agiografici, Delrio cominciava a vivere con stanchezza i dissidi da Sottosegretario deputato a sfangare i dossier più spinosi della macchina amministrativa dello Stato. Ora si apre il capitolino (gustoso ma solo alle nostre latitudini) dei fantastici quattro reggiani (Bonaretti, Spadoni, Gabbi e Battini): probabilmente saranno tutti ricollocati con nuove-vecchie funzioni.