La ripresa c’è, ma cresce l’Italia del rancore. E’ l’analisi del Censis nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Secondo l’istituto di ricerca, “persistono trascinamenti inerziali da maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio”. “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore”.
La paura del declassamento è il nuovo “fantasma sociale”: l’87,3% degli appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, così come l’83,5% del ceto medio e il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. L’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, in aumento quando si scende nella scala sociale: 72% tra le casalinghe, 71% tra i disoccupati, 63% tra gli operai.
L’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. “L’onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno”. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. “Non sorprende che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo” osserva il Censis. “L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica”.
Il 78,2% degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce: “dopo gli anni del severo scrutinio dei consumi, torna il primato dello stile di vita e del benessere soggettivo, dall’estetica al tempo libero. La somma delle piccole cose che contano genera la felicità quotidiana: è un coccolarsi di massa”. Il 45,4%, si legge nel Rapporto, è pronto a spendere un po’ di più per poter fare almeno una vacanza all’anno, il 40,8% per acquistare prodotti alimentari di qualità (Dop, Igp, tipici), il 32,3% per mangiare in ristoranti e trattorie, il 24,7% per comprare abiti e accessori a cui tiene, il 17,4% per un nuovo smartphone, il 16,9% per mostre, cinema, teatro, spettacoli, il 15,2% per attività sportive, il 12,5% per abbonamenti a pay tv o a piattaforme web di intrattenimento. Tra il 2013 e il 2016, ricorda il Censis, la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4% in termini reali nei tre anni), segnando la risalita dopo il grande tonfo. Non sono soldi aggiuntivi per tornare sui passi dei consumi perduti, ma servono per accedere qui e ora a una buona qualità quotidiana della vita. Nell’ultimo anno gli italiani hanno speso 80 miliardi di euro per la ristorazione (+5% nel biennio 2014-2016), 29 miliardi per la cultura e il divertimento (+3,8%), 25,1 miliardi per la cura e il benessere soggettivo (parrucchieri 11,3 miliardi, prodotti cosmetici 11,2 miliardi, trattamenti di bellezza 2,5 miliardi), 25 miliardi per alberghi (+7,2%), 6,4 miliardi per pacchetti vacanze (+10,2%).
Nel 2016 i reati denunciati in Italia sono stati 2.487.389, l’8,2% in meno rispetto al 2008. In cima alla graduatoria per numero di reati denunciati si trovano Milano con 237.365 reati (ma in diminuzione del 15,5% rispetto al 2008), Roma con 228.856 (in diminuzione del 3,3% nel periodo considerato), Torino (136.384, -11,7%) e Napoli (136.043, -4%). Se si considera il «peso» della criminalità sul territorio, cioè l’incidenza dei reati sulla popolazione, al primo posto rimane Milano con 7,4 reati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6) e Torino (6,0). Nel breve periodo diminuiscono omicidi, rapine e furti, ma crescono i borseggi, i furti in abitazione, le truffe tradizionali e su Internet. Nel 2016 sono stati denunciati 162.154 borseggi, con un’incidenza media nazionale di 2,7 borseggi ogni 1.000 abitanti e un aumento del 31% dal 2008. Dal 2008 al 2016 le truffe sono cresciute del 45,4% (151.464 nell’ultimo anno).
Il 52,1% degli italiani ritiene che la Pubblica Amministrazione abbia problemi importanti nel suo funzionamento e quindi ne giudica l’operato in maniera negativa. Un ulteriore 18% ritiene che il funzionamento sia addirittura pessimo. Il 24% dei cittadini ritiene accettabile l’operato della Pa, mentre si dichiara soddisfatta soltanto una quota residuale, pari a poco meno del 6% del totale. È pari al 44,6% la quota di coloro che affermano di non aver fatto ricorso ai servizi online offerti dalla Pa perché preferiscono il rapporto diretto con l’operatore allo sportello (i tradizionalisti). Molto simile anche la percentuale di chi viene di fatto escluso dalla possibilità di utilizzare i servizi online ed è quindi obbligato a rivolgersi ai servizi fisici (gli esclusi) (40,4%).
Si riduce l’incremento delle coperture vaccinali: tra gli adulti la copertura antinfluenzale passa dal 19,6% del 2009-2010 al 15,1% del 2016-2017, tra i bambini l’antipolio passa dal 96,6% del 2000 al 93,3% del 2016, quella per l’epatite B scende dal 94,1% al 93%. Sono i dati contenuti nel Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Il 36,2% degli italiani è favorevole solo alle vaccinazioni coperte dal Servizio sanitario nazionale, il 31,2% si fida sempre e comunque delle vaccinazioni, il 28,6% è dubbioso e decide di volta in volta consultando pediatra o medico. Parlando di disfunzioni del sistema sanitario, il Rapporto pone l’accento sulle liste di attesa: nel 2014-2017 si rilevano +60 giorni di attesa per una mammografia, +8 giorni per visite cardiologiche, +6 giorni per una colonscopia e stesso incremento per una risonanza magnetica. “Un’altra disfunzione in evidente peggioramento – osserva il Censis – è la territorialità della qualità dell’offerta”. Circa il 64% dei cittadini è soddisfatto del servizio sanitario della propria regione, quota che scende però al 46,6% nel Sud. Durante l’ultimo anno il servizio sanitario della propria regione è peggiorato secondo il 30,5% degli italiani, quota che sale nel Sud al 38,1% e al Centro al 32,6%. Nell’ultimo anno le famiglie con persone non autosufficienti hanno sperimentato maggiori difficoltà nel sostenere le spese sanitarie (il 51% rispetto al 31,5% del resto delle famiglie). Né trovano consenso tra gli italiani soluzioni come fornire l’assistenza ai non autosufficienti con i robot (il 73% degli over 75 anni è assolutamente contrario).
In dieci anni, dal 2007 al 2017, gli alunni disabili iscritti alle scuole dell’infanzia, alla primaria e alle medie sono aumentati del 26,8% (nel 2017-2018 sono 168.708, 3,3 ogni 100 alunni), alle superiori del 59,4% (65.950; i 2,5 ogni 100 alunni). La maggior concentrazione è al Sud (38,3% nel caso degli alunni più piccoli; 42,2% nel caso dei più grandi). Un’altra tipologia di alunni con bisogni speciali in forte aumento, si legge nel Rapporto, è quella degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), che nel 2014-2015 nel ciclo dell’istruzione secondaria di II grado ammontavano a quasi 68.000 studenti, cresciuti del 180,9% rispetto al 2011-2012, pari a 2,5 alunni ogni 100. Stando ai dati del Miur, i posti per docenti di sostegno assegnati hanno raggiunto quota 138.849, uno ogni 1,7 alunni con disabilità (nel 2007-2008 il rapporto era di un docente di sostegno ogni due alunni con disabilità), segnando un incremento rispetto all’anno precedente pari a +11,5% e del +57% rispetto a dieci anni prima. Secondo una rilevazione del Censis svolta su 40 atenei, in tre anni sono aumentati del 13,3% anche i disabili iscritti all’università: 14.649 individui nel 2014-15, 10,2 studenti ogni mille. La maggior parte frequenta corsi di studio dell’area umanistica e della formazione (33,1%), seguita dall’area scientifica (29,3%) e da quella economico-giuridica (27,7%). Solo il 9,9% corsi dell’area medica.
La classe operaia non parla più italiano. L’88,5% dei dipendenti stranieri (1.838.639 persone) fa l’operaio, mentre tra gli italiani la quota è del 41%. Solo il 9,9% dei lavoratori stranieri (206.409 occupati) lavora come impiegato, contro il 48% degli italiani. La “segregazione professionale”, che costringe gli stranieri in profili prettamente esecutivi, osserva il Censis, emerge anche dal dato sui quadri stranieri, che sono appena 11.618 e rappresentano lo 0,6% del totale dei lavoratori. La percentuale scende ancora per i dirigenti: 9.556 contro i 391.585 italiani. I rapporti di lavoro avviati nel 2016 mostrano che su 1.881.918 nuove contrattualizzazioni, 520.508 (il 27,7%) riguardano i braccianti agricoli, assunti nella quasi totalità dei casi con contratti stagionali. Seguono l’assistenza alle persone (158.977,l’8,4% del totale) e i collaboratori domestici (123.659, il 6,6%). “Manca una visione strategica che, al di là dell’emergenza e della prima accoglienza, valuti nel medio-lungo periodo il tema della povertà dei livelli di formazione e di competenze del capitale umano che attraiamo” dice il rapporto. Solo l’11,8% degli immigrati che arrivano in Italia è laureato, contro una media europea del 28,5%. Nel 2016 il 25,7% delle famiglie straniere è in condizioni di povertà assoluta, quelle italiane sono il 4,4%. A Roma e Milano risiedono circa 990.000 stranieri, poco meno di un quinto del totale nazionale (il 19,7%). In 755 comuni (9,5% del totale), soprattutto periferici, la popolazione nell’ultimo quinquennio è cresciuta unicamente grazie agli immigrati, che hanno compensato la riduzione degli italiani. Ai cittadini extracomunitari appartiene lo 0,4% del totale del patrimonio a uso abitativo del Paese: è extracomunitario solo lo 0,7% dei 31.796.538 proprietari e circa il 20% dei possessori di casa si trova a Milano (41.608 proprietari). Ma la quota di stranieri che acquistano un immobile, conclude il Censis, è più alta nelle provincie più piccole.
(Ansa)