Ma come si fa, come si fa a inserire in un punto basso della classifica l’Italia, quando si parla di libertà dell’informazione? Certo; se pubblichi notizie secretate del Vaticano poi magari i proprietari di detto flusso documentale cercano di sbatterti in galera, è vero. Pur considerando che secondo noi c’è il caso che la sanzione possa essere considerata sacrosanta, volendo sentirci solidali con i paladini dell’informazione a tutti i costi (ma per libertà, lo fanno per un ideale, mica per soldi sia chiaro) capiamo come la comunità internazionale possa pensare, se adeguatamente istigata, che noi si sia in un Paese feudalmente arretrato; scrivi una notizia, taaac, gogna, taglio della mano e jus primae noctis. Poi però vorremmo che nel calcolo globale venisse anche tenuto conto del fatto che da noi esistono fogli come Libero o Il Giornale, e sono anch’essi liberi di essere considerati mezzi di informazione. Ma non è certo finita qui. Signori osservatori internazionali, prima di darci severissimi voti: per favore, considerate che noi abbiamo Striscia la Notizia. Il Gabibbo. Le Iene. E questi sono liberi di andare in onda. Come fate a dire che non abbiamo la massima libertà? Diciamo le cose come stanno: forse, la libertà di stampa non è poi questo problemone che sembra essere.
Forse, la questione diventa interessante quando parliamo di notizie orientate alla radice: ovvero, il tal giornale appartiene a detto movimento, il tal’altro alla tale compagine, le notizie che pubblicano saranno certamente di parte. Spiacevole, certo, considerando il ruolo che dovrebbe rivestire il giornalismo; ma dove è la novità? Nel momento in cui esiste un committente dell’informazione, o addirittura un padrone dei mezzi che la veicolano, e i guadagni non derivano in prima istanza dalla sete di informazioni del lettore ma dalle pubblicità che essa può sostenere il discorso della libertà è praticamente chiuso. Casomai si discuterà della libertà di pluralismo dell’informazione, cosa che, blog e social ormai incontenibili, ci sembra sia piuttosto indiscutibile. Certo, una grande testata avrà una visibilità enormemente maggiore di un piccolo blog, a prescindere dalla bontà delle notizie pubblicate, e perciò sarà certamente avvantaggiata; ma questo è fisiologico. Se non vi sta bene, pagatevi un editoriale dove siete sicuri che verrà letto. Altrimenti, smettete di rosicare. Ma questo, come dicevamo, è un problema che semmai riguarda l’informazione alta, quella capace di abbassarsi a livelli vergognosi: politica, economica, sociale, eccetera. Vabbé, può essere utilmente orientata anche la cronaca, ma passiamo oltre.
Quello che ci preme sottolineare è invece che quando si tratta di informazioncine spicciole, notiziole travestite da gravi e insormontabili problemi allora non c’è proprio limite alla diffusione di qualsiasi cretinata, e l’informazione da libera diventa addirittura liberale, se addirittura non va proprio in caciara. Potremmo fare l’esempio del circo sviluppatosi attorno alla notizia delle vaccinazioni obbligatorie, ad esempio; o quello legato a registrazioni non pubbliche di quello che dice un conduttore televisivo su chi gli pare, nel suo privato vivere, preso e mandato in onda; ma preferiamo fare un esempio chiaro per tutti e non opinabile. Blue Whale, il gioco della balena che ha fatto strage di giovani russi portata alla ribalta della notizia la scorsa settimana.
Blue Whale è una notizia che, in tutto il resto del mondo civile – quello cioè in cui la stampa ha anche utilizzi diversi da quelli igienici – che non sia l’Italia (siamo generosi e passiamo oltre) non è più tale; ovvero, è stata già sentita, analizzata, verificata e bollata come bufala priva di fondamenti. Da noi, diventa una occasione ghiotta per Le Iene, e rimbalza di qua e di là fino a testate non esattamente minuscole e prive di strutture come ad esempio il Messaggero. Genesi della notizia: ne parla un social network russo. Immaginate Facebook e descolarizzatene tutti gli utenti fino ad eliminare il 90% della possibile istruzione e capacità di gestire testi complessi e verificabilità delle fonti. Oddio, non che da noi con tanti titoli di studio si faccia di molto meglio; quindi, immaginate. Potete. Adesso, di qui si passa alla Novaja Gazeta, periodico indipendente forte di aver pubblicato anche inchieste molto interessanti negli anni ‘90 (nell’occasione del conflitto ceceno, per chiarire), poi naturalmente inabissatasi sotto il pelo dell’informazione sovietica tutta (non eccellente, diciamo; se non altro, viene dopo di noi, al 148° posto, e sarebbe sembrato strano il contrario, no?). Di qui al Giornale, e dopo di che, il diluvio. Il tutto nasce dall’amara considerazione di una realtà piuttosto triste: l’enorme diffusione, presso i giovani russi, della soluzione del suicidio per fare fronte alla difficoltà di vivere. Un articolo del New York Times del 2012 parla ad esempio di 1700 giovani l’anno tra i 15 ed i 19 anni: sarebbe comunque da controllare la fonte, ma insomma, la notizia è di quelle da considerarsi tali. Bene; a un certo punto spunta l’ipotesi di complotto, pare che un tizio cattivo abbia formato una specie di catena di Sant’Antonio del suicidio; Philip Budeiki, questo il nome del Moriarty sovietico, ammette, poi smentisce, poi confessa, poi quando capisce che lo mettono in galera davvero (mica in un Club Med) smentisce di nuovo, e così via. I tabloid fuffa inglesi ci vanno a nozze, e noi seguiamo, con l’anello al naso, ovviamente. Che sia una enorme minchiata è talmente ovvio che risulta doloroso spiegarne i particolari: i lettori e abitatori di social italiani ci si buttano a pesce (che poi, la balena è un mammifero, si sappia) e si bevono tutto. Tutto. Adesso diciamo che voi digitiate #f57 non si è mai capito esattamente dove.
Voi digitate, che importa se è l’antifurto di casa vostra, Twitter o che. Dopo un tot, il Curatore (il malvagio in agguato), una volta finito di raccogliere tutte le informazioni segrete con cui ricattarvi (le stesse che i vostri genitori collegandosi a voi con un profilo fake raccoglierebbero in 50 secondi, e se fanno il loro mestiere anche senza collegarsi) vi contatterà. Dicono. E vi ordinerà di incidervi su di una mano #f57 con una lama. Poi inviate la foto al Curatore. Questo è il primo passo; ci sentiamo di dire che in una famiglia appena degna di questo nome probabilmente sarà anche l’ultimo, perché qualsiasi cosa vi sarete incisi sulla manina, sia una sigla segreta, un fiorellino, un Barbapapà o che, un genitore anche all’oscuro di questa terribile minaccia vi avrà già riempito di ceffoni e/o condotto a forza da un professionista del cervello. Poco male: il passo successivo sarebbe stato doversi alzare alle 4,20 del mattino per guardare film psichedelici dell’orrore inviativi dal Curatore. Non specifica quali siano: forse “Alex l’Ariete”, oppure un mix tra “Tetsuo” e “Yellow Submarine”. Seguono altri passi come questi egualmente diciamo caratteristici, dal passarsi aghi addosso a continuare a incidervi robe che nemmeno Angelina Jolie nei suoi giorni bui, da salire su cornicioni a guardare film dell’orrore psichedelici (altri, ma quanto saranno mai?
Una filmografia è disponibile?) fino al terribile punto 25, “Abbiate un incontro con una Balena”, che magari uno è anche dei gusti tipo la Tabaccaia di Amarcord ma anche così le vecchie zie in carne non ce le hanno tutti e poi, cosa ci debbono fare? Tacciamo per prudenza, decoro e senso del limite. Seguono altre incisioni e visioni sempre crescenti di film psichedelici dell’orrore, per altri 25 giorni. Fino a fondere il VHS. Ora; ci sono alcune cose che ci fanno pensare, nella diffusione di questa notizia. Intanto, il fatto che nessuno abbia pensato di verificarla: fonti disponibili serie, ce ne sono? Foto, comunicazioni di morgue con documenti su adolescenti tatuati a rasoio a balene e sigle con il cancelletto? Associazioni di genitori russi disperati che testimoniano? Rapporti di forze dell’ordine? Cose così, insomma: niente del tutto. Poi; avrete capito che anche il peggior delinquente di questo mondo, trovandosi a trattare con un figlio che sta eseguendo queste fantomatiche istruzioni, non lo farebbe arrivare nemmeno al punto 5 prima di soggiogarlo a suon di farmaci, restrizioni terapeutiche o cinghiate (non storcete il naso: ragionevolmente meglio del decoupage a rasoio, parrebbe). E poi, il dubbio più grande di tutti, di cui abbiamo parlato più volte ma sembra non aver diritto ad una risposta seria: ma ancora nel 2017 si può definire un professionista, e non un criminale, qualcuno che parli del suicidio con tale leggerezza e diffonda notizie in tal modo superficiale, considerato che ogni volta che lo si fa si può stare certi che per emulazione qualcuno andrà a ingrassare le statistiche?