A sventolamenti freddi, il giorno dopo la ricorrenza del 25 aprile forse più divisivo di sempre, con cortei l’un contro l’altro sbandieranti nella Capitale o con esponenti dei Centri sociali che insultano gli sfilanti ebrei che diedero la vita per i loro padri (ed altri prodotti della post-ideologizzazione), il bilancio discorsivo dai pulpiti della Liberazione è più variegato che mai.
Smarrito l’orizzonte di individuazione del rischio dittatoriale nelle immediate vicinanze geografiche, si guarda altrove nel mondo e si punta sulle minacce della tirannia social (così ad esempio la Boldrini a Bologna) o, eccellenza reggiana, si svecchia decisamente il palco delle autorità lasciando per esempio a casa un acciaccato Otello Montanari (che la Resistenza l’ha fatta davvero e si è beccato pure alcune schioppettate) per far spazio al giovane antimafia Elia Minari in quel di Bibbiano. Che ha sfornato il suo pistolotto davanti ai partigiani avvolti dalle bandiere ingiallite dell’Anpi.
Tutti tentativi meritevoli d’attenzione per carità. Ma, tra un allarme terrorismo e un’invettiva contro il muro di Trump, tra gli strali per la Le Pen al ballottaggio e tutto ciò che fa internazionale, il fiume retorico rischia di annegare la filologia storica e svuotare di senso restante quella che è ancora una Celebrazione pubblica dall’aspirazione unitaria. C’è un anno di tempo per ripensare la prossima festa e ripuntare magari su quegli elementi tutto sommato recenti ma così lontani nella memoria: la lotta, il valore, l’eroismo, il sangue, il sacrificio dell’esistenza propria per la libertà di tutti. Do you remember “bene comune”?