Sono trascorsi tredici anni da quel 25 aprile “Solitario” festeggiato a Tapignola, nella chiesetta di Don Pasquino Borghi.
Nacque da un’idea di Giovanni Lindo Ferretti, per togliere dalla retorica celebrativa e concedere una dimensione più riflessiva e silenziosa alla ricorrenza della “festa di Liberazione”. I giorni che stiamo vivendo ci portano forzatamente a trascorrere questo giorno in modo ancora più solitario di quel duemilasette e, mi auguro, a recuperarne il senso.
Tra il silenzio, la lettura di qualche buon libro sul tema e, se possibile, il racconto delle memorie familiari, questa giornata ci chiede di metterci in ascolto alla maniera degli ebrei quando raccontano e rievocano ai bambini la liberazione dalla schiavitù nella festa della Pèsach.
La realtà che stiamo vivendo ci fa meglio comprendere quanto enfatizzato, più che coltivato, sia il valore della memoria nella nostra società. In un’intervista che mi fece un gruppo di giovani proprio a proposito dell’esperienza di Tapignola, li invitai a raccogliere le tante memorie che i nostri anziani hanno custodito nella mente e nel cuore, impiegando una tecnologia che ci consentirebbe di preservare nel tempo le storie e i sentimenti di quei giorni difficili.
Sappiamo che gli archivi dell’era digitale ci hanno agevolato mediante la possibilità di immagazzinare dati e racconti, ma non sempre gli strumenti sono stati utili per la trasmissione delle singole esperienze umane e nel custodire i ricordi del passato. In questi giorni, nei quali anche noi viviamo una nuova paura e ci sentiamo privati della nostra libertà, la cosa che colpisce ascoltando i bollettini serali nei quali ci vengono comunicati numeri su numeri di persone che ci hanno lasciati, è la consapevolezza che si tratti proprio di quegli anziani che hanno vissuto i giorni e i mesi della guerra e il difficile dopoguerra e che nel duemilaventi non siamo stati in grado di proteggere da un altro nemico, forse inaspettato.
È una memoria collettiva che abbiamo perso per sempre se non c’è stata la pazienza e la curiosità di qualche persona vicina, un familiare o un amico, di raccogliere e di mettere nero su bianco le testimonianze che anche la vecchiaia riesce a mantenere vive. Delegare la memoria agli archivi digitali non significa però esonerarci dal compito di raccontare e rievocare, evitando ridicole nuove attualizzazioni che non siano rispettose del fatto storico specifico.
In questi anni la fantasia sul senso da dare alla ricorrenza della festa di Liberazione si è sbizzarrita sui temi più vari e a volte inconciliabili. Anche il delegare troppo alle istituzioni ci porta ad essere meno riflessivi sul significato di ciò che si sta celebrando, accettando il pacchetto di iniziative precostituite. Che sia quindi, questo 25 aprile 2020, un giorno più consapevole, di ascolto, di riflessione e di silenzio. Un 25 aprile “ Solitario e solitario”.
Daniela Anna Simonazzi
Nel ricordo del comandante Azor, mio zio, nel centenario della nascita, AD 1920-2020