Guardie penitenziarie prigioniere dei tagli al sistema carcerario

Dopo che sabato 7 gennaio un detenuto di 30 anni si è suicidato, impiccandosi, nel carcere fiorentino di Sollicciano, in Toscana due episodi di cronaca portano di nuovo alla ribalta il problema della sicurezza negli istituti di detenzione. Nella serata di domenica 8 gennaio sono state 6 le guardie carcerarie dell’Istituto Penale Minorile “Meucci” di  Firenze rimaste intossicate dal fumo proveniente da una delle celle. Da tempo un gruppo di minorenni magrebini detenuti nel carcere minorile di via della Scala si era segnalato per la sua ostilità nei confronti di altri ospiti rumeni e cinesi dell’istituto. Nel pomeriggio di domenica, però, gli otto componenti del clan guidato da un maggiorenne che sta scontando la pena nel carcere minorile per reati commessi nell’adolescenza, sono venuti alle mani con altri detenuti. Nella rissa ci sono stati anche dei feriti lievi, ma le guardie carcerarie sono alla fine riuscite a riportare la calma al “Meucci”. Questo, almeno fin quando non è arrivata l’ora di cena. Temendo che le due fazioni di carcerati potessero venire nuovamente in contatto, i secondini hanno infatti deciso di tenere separati i due gruppi e non far scendere in refettorio per la cena i detenuti magrebini. Una volta ricevuta la cena in cella, così, cinque dei magrebini hanno deciso di reagire al presunto sopruso delle guardie dando fuoco ad alcuni materassi  e lenzuola e chiudendosi nel bagno di una delle loro celle. Vedendo il fumo, gli agenti penitenziari hanno dato l’allarme ai vigili del fuoco, che sono intervenuti per soffocare le fiamme. A seguito di questo evento, il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, ha ricordato che «la Toscana è una delle regioni fuori legge dal punto di vista penitenziario. A fronte di una capienza di 3.186 posti letto, le carceri regionali ospitano circa 4.300 detenuti: circa il 50% stranieri». In Toscana, spiega il Sappe, mancano alla polizia penitenziaria circa 800 unità e questo rende davvero duro il lavoro nelle carceri. Il Comune di Firenze, preso atto dell’accaduto nella giornata di ieri, 9 gennaio, ha affidato all’assessore Stefania Saccardi un intervento su quanto avvenuto al “Meucci”. L’assessore comunale ha spiegato che Palazzo Vecchio ed il carcere minorile provvederanno a 100 ore di mediazione culturale per i detenuti di via della Scala. Questo per cercare di «aiutare i minori in condizione di detenzione, spesso stranieri, a rendersi conto della realtà in cui si trovano e al tempo stesso a mantenere viva la speranza senza abbandonarsi alla disperazione». «Si tratta – ha concluso l’assessore Saccardi – di un segnale di attenzione da parte dell’Amministrazione a un tema caldo come quello delle carceri». Ma mentre a Firenze si discuteva di come cercare di aiutare i detenuti minorenni del “Meucci” a trascorrere la loro reclusione, a Pisa un nuovo evento di cronaca metteva a nudo le difficoltà del sistema carcerario toscano ed italiano in genere. Due detenuti hanno iniziato, nella notte fra domenica 8 e lunedì 9 gennaio, a scostare le pietre del muro della loro cella per tentare la fuga. Come nel più classico dei cartoni animati, alla fine Mourin Bougera, un tunisino di 27 anni, e Francesco Zarraro, un campano di 40 anni, sono riusciti a ricavare un passaggio nel muro ed a scavalcare il muro di cinta del carcere con una scala presa da un vicino cantiere per la realizzazione di un nuovo padiglione dell’istituto carcerario Don Bosco di Pisa. Una volta sul muro, poi, hanno utilizzato come fune per scendere a terra e fuggire un lenzuolo. Nella discesa, però, il ventisettenne tunisino è caduto e si è fratturato il bacino. Alle grida di dolore di Bougera, gli agenti penitenziari si sono accorti di quanto stava accadendo e si sono precipitati all’esterno del carcere. Il tunisino è stato immediatamente bloccato, mentre Zarraro è riuscito a scappare abbandonando il compagno di cella. La polizia pisana, su segnalazione dell’istituto di detenzione Don Bosco, ha subito diramato le foto segnaletiche del fuggiasco in tutta Italia, ma per il momento di Zarraro non vi sono tracce. Si potrebbe pensare che la fuga del campano sia stata agevolata da una sorveglianza poco attenta degli agenti penitenziari pisano, ed invece il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Maria Pia Giuffrida, ha spiegato che a rendere possibile la fuga del detenuto è stato il fatto che, per mancanza di fondi, il sistema di allarme del carcere non è al momento funzionante. Da tempo le istituzioni pisane lamentano la mancanza di finanziamenti all’istituto di detenzione, ma, come hanno spiegato i sindacati della polizia penitenziaria, il caso di Pisa non è che uno dei tanti episodi che mettono a nudo le debolezze del sistema carcerario italiano.

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